Danzare la vita

Illustrazione di Dianella Fabbri

Io ti esalto, o SIGNORE, perché m’hai portato in alto…
Salmeggiate al SIGNORE, voi suoi fedeli,
celebrate la sua santità.
Poiché l’ira sua è solo per un momento,
ma la sua benevolenza è per tutta una vita.
La sera ci accompagna il pianto;
ma la mattina viene la gioia.
Tu hai mutato il mio dolore in danza.
(Salmo 30)

Angelo: le parole poetiche nascono dal dolore o dallo stupore? È la sconfitta che domanda di essere detta o la vittoria? Il libro dei Salmi prova a seguire entrambe le traiettorie: quella che butta in basso la vita e la schiaccia e quella che la spinge in alto e la rialza. Inizio del canto è sia il grido che la meraviglia. Quasi mai, però, dipinti a tinta unica; sempre accompagnati dal loro opposto. Le parole custodiscono il movimento, la storia soggetta a trasformazioni. A volte, tuttavia, si permettono uno strappo: come cantare in terra straniera? Come indossare il cilicio mentre si assapora la gioia di vivere?

Lidia: questo Salmo sfoggia colori ridenti. È una festa di matrimonio nella quale non si può digiunare. Udiamo la voce di un corpo che danza, che celebra la bellezza della vita. La sovrascritta ce lo presenta come un Cantico per l’inaugurazione della casa. Di Davide. Qui troviamo le parole di chi si sente a casa. Parole sorgive, che dettano la melodia del canto. Ma anche il contrappunto. La vita rialzata ha patito prima il soggiorno dei morti. Per quanto la luce della vittoria brilli e quasi accechi, la memoria delle giornate buie fa capolino. E nel momento della gioia, i giorni tristi sono liquido di contrasto per cogliere il dono inaspettato di una vita finalmente gustata.

Angelo: mi colpisce il reciproco elevarsi: il gesto divino che strappa dall’abisso l’orante trova corrispondenza nelle parole della preghiera che volano alto, che danno voce all’entusiasmo. Questo Salmo ci restituisce quella voce che non ci sta a dire e basta: è voce esaltata che, a sua volta, esalta. Leggo in questo movimento di corrispondenza tra il “fare” di Dio e il “dire” umano l’indicazione di esercitare nei confronti di quanto ci succede una sensibilità capace di sentire in grande. Il dire, qui, diventa “salmeggiare”, “celebrare”, “danzare”.

Lidia: è la parola nasce da uno sguardo non schiacciato sull’immediato. Capace di vivere una nuova temporalità: il male – sperimentato come tomba, ira divina, crepuscolo – che a noi sembra un tempo infinito, viene sentito come un istante passeggero, che lascia spazio alla gioia di un nuovo mattino. Ci vuole uno sguardo lungo, ampio per non farsi catturare dalla potenza del negativo, per non arrendersi al male di vivere. Occorre una sapienza in grado di leggere le traiettorie più che i singoli punti. Come si matura una simile sapienza?

 Angelo: noi siamo il presente che viviamo. Forse, quel movimento verso l’alto, in cui Dio rialza e innalza, oltre che designare la liberazione di una vita dalle bassure inferte dal nemico, allude anche ad un’elevazione dello sguardo, al dono di poter vedere dall’alto i nostri giorni aggrovigliati, fino a scorgerne l’abbozzo di un disegno. Come nel racconto di Karen Blixen, dove i passi dell’uomo, che nella notte si sono mossi per arginare una falla del lago adiacente alla sua abitazione, alla luce del giorno disegnano la figura di un cigno.

Lidia: e forse ci vuole anche un po’ di scaltrezza, di sana ironia per contrattare il futuro:
Che profitto avrai dal mio sangue se io scendo nella tomba? Potrebbe la polvere celebrarti, predicare la tua verità? (v.9). Un corpo a corpo con Dio per convincerlo che anche lui ci perde, se l’orante precipita. La felicità umana è legata a quella divina. Se muore colui che loda il suo Signore, Dio rimarrà orfano di lode. E dunque che si sbrighi a sollevare chi soffre dall’abisso!

Angelo: e poi c’è l’ironia della sorte, quella che scompiglia le carte dei nostri progetti. L’esperienza di una vita liberata dal male non è sottratta ai cambiamenti della storia. L’orante, raggiunta la prosperità, arriva a dire: non sarò mai smosso. Poi, però, è bastato sentire che Dio ha nascosto di nuovo il suo volto per ricadere nello smarrimento. L’attraversamento di una vita assomiglia alle montagne russe. E anche una fede che ha conosciuto l’ebbrezza dell’entusiasmo prima o poi dovrà misurarsi con lo spaesamento. Dopo la notte giunge il mattino, e poi, di nuovo, la notte. In una storia che sempre muta, non possiamo che confidare nelle possibilità del mutamento, attendendo con fiducia l’alba, mentre attraversiamo la notte e maturando una sapienza della crisi, mentre celebriamo la bellezza della vita.