Cuori di tenebra

Illustrazione di Dianella Fabbri

Lo stolto ha detto

in cuor suo:

«Non c’è Dio».

Sono corrotti,

fanno cose

abominevoli;

non c’è nessuno

che faccia il bene.

(Salmo 14)

Lidia: Non è vero che le parole sono solo parole. Ci sono pensieri, parole, che determinano il nostro essere al mondo. Troppo facile liquidarle come uno sfogo, un blablabla ininfluente. A volte, tra il dire e il fare c’è di mezzo soltanto un rigagnolo che il piede può agevolmente oltrepassare. Quando lo stolto dice: «non c’è Dio», sta già progettando di agire senza freni per perseguire a tutti i costi il proprio tornaconto. Capiamo bene dalle parole del salmista che qui non si tratta di demonizzare chi non crede in Dio – impensabile, tra l’altro, nell’antichità. Non sta esprimendo un giudizio sul corredo di posizioni metafisiche di cui si dota ogni essere pensante. Il nostro salmista non è un teorico delle idee: è un osservatore della storia. Guarda ai comportamenti messi in campo e ascolta le parole che li giustificano.

Angelo: insieme alle parole degli stolti, il salmo ci consegna le parole dell’orante che osserva la situazione. E anche queste sono problematiche, perché veicolano uno sguardo «nero», un giudizio perentorio, da social, diremmo noi. Tutto va a rotoli, nessuno si salva. Al pari dello stolto, anche chi crede è abitato da sguardi, pensieri, parole che determinano il suo stare al mondo. Paradossalmente, anche le parole di questo credente indicano un mondo in cui «non c’è Dio». Un’assenza patita, certo, non desiderata per agire impunemente. In ogni caso, le sue parole danno per scontata la vittoria a piene mani dell’avversario: «non c’è più nessuno che faccia il bene, neppure uno». Il salmo dà voce alla pancia di entrambi i contendenti, alle parole delle emozioni, che non conoscono la complessità delle situazioni, che sono frutto del fiuto dell’affare o del terrore della sconfitta: parole schiacciate sul sentire del momento. Le parole del nostro presente!

Lidia: da questo mondo in bianco e nero, fa capolino una situazione ben più complessa. Ad una prima lettura il salmista sembra un antesignano di Dostoevskij, del suo «se Dio non esistesse, tutto sarebbe permesso». Se non c’è un arbitro, in campo vige solo la legge del più forte o del più furbo. In realtà, nel salmo come nel nostro presente, che pure sembra giustificare quel sentire da catastrofe finale, si delinea un differente scenario: il male dilaga senza freni, ma anche il bene continua a sorgere. Sembra capovolgersi la scena in cui Abramo intercede per la città di Sodoma in nome dei pochi giusti che la abitano: qui è Dio che, in modo implicito, senza grandi dichiarazioni, mostra al credente la presenza dei giusti, in mezzo ai quali Lui stesso si mostra. Gli occhiali scuri del salmista non gli permettono di vedere la presenza del bene. Proprio come il nostro sguardo contemporaneo non è in grado di cogliere quel bene che viene tenacemente fatto, a volte anche senza riferimenti a Dio.

Angelo: in effetti, è questo capovolgimento silenzioso a costituire il cuore del salmo. Di colpo, dalle tenebre della catastrofe, lo sguardo si posa su una scena più luminosa, resa tale dall’improvviso apparire di Dio in mezzo ad una comunità di giusti, che gli occhi del salmista non riuscivano precedentemente a individuare. Ecco, allora, che lo sguardo si affina, e quella che era stata letta come la fine del mondo, l’apocalisse nera di un’umanità tutta malvagia, ora si mostra come un esilio, momento critico, certo, ma con possibilità di ritorno, entro una storia che continua e che riserverà momenti di riscatto, salvezze impensate. La lettura iniziale della situazione era all’insegna di un pensiero binario, incapace di cogliere i movimenti interni, le sfide che ogni momento storico, anche il più drammatico, pone agli umani. Era una spiegazione troppo facile, funzionale a voler far tornare i conti, seppur in un bilancio da bancarotta. Come ha scritto Guido Ceronetti, «alla luce del Tragico il mondo non è inesplicabile»! Ma la vita deborda dalle nostre teorie.