Almeno tu…

Illustrazione di Dianella Fabbri

Dio mio, in te confido;

fa’ che io non sia deluso,

che i miei nemici non trionfino su di me.

Nessuno di quelli che sperano in te

sia deluso; …

O SIGNORE, fammi conoscere le tue vie,

insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua verità e ammaestrami; …

Chi è l’uomo che teme il SIGNORE?

Dio gli insegnerà la via che deve scegliere…

Volgiti a me, e abbi pietà di me, perché

io sono solo e afflitto…

Vedi la mia afflizione e il mio affanno…

(Salmo 25)

Angelo: posso azzardare un titolo per questo salmo? Lo chiamerei «Preghiera postmoderna». Ante litteram, ovviamente! Perché, pur in un mondo che non ha conosciuto né la modernità, né tanto meno il tempo incerto e decostruttivo che ne è seguito, questo salmo dà voce ad un sentire che è tipico di questa nostra stagione. La delusione per le grandi parole d’ordine tradite, la confusione che ne consegue; la solitudine del cittadino globale, in preda all’affanno, in balia di nemici senza volto. L’inizio e la fine mettono in scena lo spaesamento: una cornice ancora più amara per il fatto che custodisce al cuore il desiderio di essere ammaestrati da un Dio, di ritrovare la chiarezza perduta.

Lidia: in realtà, la prima sensazione viene dal centro del quadro, dove il vocabolario della conoscenza, il linguaggio sapienziale si impongono per l’insistenza con cui l’orante vi ricorre. La prima impressione è di avere a che fare con un salmo etico, di un’etica della convinzione, dal tenore illuminista: se qualcuno mi spiega le cose, io poi potrò agire di conseguenza. Se Dio mi istruisce, allora il cammino procederà sicuro, lungo il sentiero della verità tracciato dal Signore del mondo. Poi, però, si sentono altre parole, che stonano rispetto a questa melodia sapienziale.

Angelo: Sì, è proprio questa dissonanza ad evocare un sentire postmoderno. La tela tradizionale è stata strappata dalla cornice dorata e ricollocata entro una nuova cornice, improponibile ad occhi avvezzi ad un contorno armonico. È come se il salmista dicesse: «io so come affrontare la vita; mi lascio istruire da Dio e cammino per le vie da Lui indicate. Certo, le mie fragilità mi porteranno fuori strada ed io peccherò. Ma questo non è un problema: la misericordia di Dio è infinita. Lui mi rimetterà in piedi ed io potrò proseguire con passo spedito. Io so che è così; eppure con me non funziona: le angosce aumentano e il nemico abita il mio cuore. Proprio a me, che desidero chiarezza e sicurezza, tocca sperimentare confusione e afflizione».

Lidia: questo smarrimento non viene solo dall’incapacità di rimanere sui sentieri tracciati da Dio, ma ha a che vedere con Dio stesso. L’immagine sicura del Dio che guida i passi si fa sfocata, sfugge. E la preghiera diventa corpo aggrappato ad una fune scivolosa: «Io confido in te o Dio, tu sei colui che mi guida nei sentieri della vita, eppure smarrisco la strada e sperimento l’opposizione di forze nemiche. In questo spaesamento, ti prego, almeno Tu rimani: non deludermi anche Tu, o Dio!». Nella crisi può accadere che la fede si rafforzi: quando tutto è instabile e precario potrebbe essere più facile affidarsi a Dio. Ma qualche volta, proprio come nel nostro tempo, anche il cielo diventa precario, anche il rapporto con Dio va in crisi, si rivela instabile, incapace di sorreggere. E allora diventa preziosa la preghiera di questo salmo, che potremmo accostare ad una vecchia canzone d’amore di Mia Martini:

«Tu, tu che sei diverso

Almeno tu nell’universo

Non cambierai

Dimmi che per sempre sarai sincero

E che mi amerai davvero

Di più, di più, di più.

Mentre le certezze vengono meno, almeno

Tu, o Dio, non cambiare!».

Angelo: Persino la nostra generazione, dunque, può rispecchiarsi nelle parole antiche dei Salmi. Dove la fiducia convive con l’affanno, la sapienza con la confusione. Il linguaggio tradizionale, che esprime le armonie di un mondo che si dà a conoscere e di un Dio che ne rivela il senso, viene citato entro un’esistenza che non sperimenta più la verità di quel senso smarrito. Non una citazione dal tenore ironico, come avviene per noi. Ma, in ogni caso, un punto e un contrappunto tra sapienza tradizionale e vita vissuta.

Lidia: E non è, forse, questa la preghiera? Un grido che sorge per la dissonanza che sperimentiamo tra il bene saputo e lo spaesamento provato. Un grido che attinge alla nostalgia di poter camminare su ponti sospesi e che patisce l’afflizione di vedere davanti a sé arcate spezzate. Forse, la fede è non strozzare questo grido, non smettere questo sguardo doppio sul mondo.