A fondo
Io confido nel SIGNORE.
Voi, come potete
dire all’anima mia:
«Fuggi al tuo monte
come un uccello»?
Poiché, ecco, gli
empi tendono l’arco,
aggiustano le
loro frecce sulla corda
per tirarle nell’oscurità,
contro i
retti di cuore.
Quando le fondamenta
sono rovinate,
che cosa può
fare il giusto?
(Salmo 11)
Angelo: Quando la casa che si abita diventa pericolante e un terremoto riduce in macerie quanto costruito a fatica, che fare? Il salmo dà voce a quelle situazioni drammatiche dove non c’è alcun margine di intervento: tutto crolla e non si può far niente per impedire il disastro. Una malattia invalidante e cronica, la morte di una persona cara, la propria morte, un fallimento affettivo… Crolla anche quella ragnatela simbolica, tessuta con pazienza per avvolgere di significati gli avvenimenti della storia, le esperienze della vita: nulla più ha senso.
Lidia: persino la numerazione dei salmi ha subìto un terremoto che ne segna un diverso assestamento. E così il salmo 11 della Bibbia ebraica diventa il 10 per quella greca, che ha assemblato in modo differente i due salmi precedenti. Persino questo dato, che può disorientare chi legge, aiuta a percepire il senso di instabilità messo in scena dall’orante. Quasi una strategia di sopravvivenza per sottrarsi al rischio di immobilità, per creare movimento e scampare alle frecce lanciate da chi, con l’arco della propria interpretazione, pretende di afferrare questi poemi come si cattura una preda. I salmi non sono solo la voce dell’orante, sono la sua stessa presenza o, almeno, lo specchio dove si riflette tutto il suo dolore.
Angelo: Quando tutto crolla e la vita ti leva il respiro, i salmi osano dare voce al tuo grido inarticolato, ti strappano al silenzio, alla paralisi, ti spingono ad agire, a resistere, a non soccombere al male…
Lidia: a quel male che ha così tanti volti. A volte può persino diventare esperienza umanizzante: interrompe quel procedere in automatico che caratterizza una vita senza grossi problemi e apre a nuovi interrogativi. Non voglio dire con questo che il male vada desiderato; non si tratta di dare credito a quella visione dolorista che ha contrassegnato per secoli la fede cristiana. Il male va combattuto. Ma quando, senza cercarlo, il male ci viene incontro, allora è anche possibile viverlo come sfida ed esperienza di crescita.
Angelo: A volte, non sempre. Perché poi ci sono forme di male che tolgono il respiro e azzerano ogni interrogazione: tutto crolla, anche la possibilità di trarre un bene dal male. Si sprofonda. Punto. L’immagine delle fondamenta mi richiama la fatica del pensiero, il tentativo di renderlo stabile, per l’appunto fondato. È una metafora che ha avuto un grande successo nel pensiero filosofico occidentale. Ed anche nel pensiero teologico. Diverso l’orizzonte nel mondo biblico. Il Dio delle Scritture non viene dipinto come un architetto che, a tavolino, stende il progetto della creazione, stabilendo solide fondamenta. Piuttosto, fin dalle prime pagine, Dio affronta situazioni critiche, abissi e acque in cui tutto sprofonda, e prova a porre degli argini, a ridurre il danno. Sa che quanto avviene sotto il sole non gode della stabilità di solide fondamenta. La solidità della roccia è attributo unicamente divino. Ma è inevitabile che noi umani, che pure ci ritroviamo a costruire sulla sabbia, lo facciamo trattando il terreno dell’esistenza come se fosse roccia.
Lidia: di fronte alla casa distrutta, l’orante osa confidare in un Dio che rimane roccia: roccia di giustizia, non scalfita dalle tante ingiustizie della storia; roccia di visione e giudizio, che non distoglie gli occhi dalle vicende umane, scrutando i cuori delle persone. Di questa fede il nostro salmo fornisce due interpretazioni: è una fuga, un comodo tentativo di rifugiarsi nella zona franca della religione per chi non ha la forza di imporsi nella battaglia della storia; oppure è la possibilità di vedere, insieme alla scena desolata della casa crollata, il volto di un Dio che può redimere questa storia irredenta. Visione futura, non immediata: nel presente occorre custodire quella rettitudine che, sola, consente di andare oltre il giudizio amaro di una storia nelle mani degli empi. Si può invocare giustizia solo esigendola da se stessi. Si può credere in Dio, volgere lo sguardo al cielo mentre i piedi calcano le macerie, soltanto se si ha a cuore la costruzione e si argina ogni desiderio distruttivo di violenza.