Un funambolo tra le nuvole
Che spettacolo!

Valentina Voto
Bobby McFerrin e il gioco libero della voce
Mimesis, 2024, pp. 224
€ 17
Chiamatelo come vi pare, acrobata, improvvisatore, visionario con una beata consapevolezza dell’istinto, abile manipolatore di sonorità arcaiche, suonatore di tutto il corpo possibile: Bobby McFerrin è uno dei più originali innovatori nel concepire la musica, “un virtuoso, un acrobata”, come afferma l’autrice di questa interessante biografia, la prima, incredibile a dirsi, dedicata al poliedrico vocalist, direttore d’orchestra e compositore statunitense.
McFerrin è un fenomeno artistico che è stato in grado di unire ogni genere musicale tramite le quattro straordinarie ottave della sua voce, si tratti di Jazz, Black Music, World, Classica o semplicemente popular music.
Il titolo del libro, per rimanere in argomento, suona chiaro: “Il gioco libero della voce”, un “orecchio assoluto” che dipana la componente percussiva in un’elegantissima Negritudine controllata in ogni registro: una “inclinazione al brillante intrattenimento che appartiene di diritto alla storia del Jazz” così come a quella delle sonorità più arcaiche, a ragionare in termini di etnomusicologia, segnate nelle risonanze dell’ugola sul plesso solare, peraltro usato da qualche centinaia di secoli come strumento per comunicare emozioni, allerte di guerra, richiami sessuali, richieste d’aiuto e di scambi d’informazione, come del resto dimostra la ricerca di Peter Gabriel nel suo New World, d’Afro e d’Oriente sino al “cantu a tenore” del canto corale sardo dei Tenores di Bitti, suggestiva espressione del mondo agro-pastorale oggi Patrimonio Intangibile dell’Umanità simile allo Xöömej della tradizione di Tuva, una delle repubbliche della Russia (nella Siberia centro meridionale), nella Repubblica dell’Altaj e in Mongolia: tanto a dimostrare come l’Indoeuropeo non sia affatto una fantasia. Le sillabe aperte tra i bassi secchi e le chiuse rotonde evocano lo Sfalsato di Cathy Berberian, di Diamanda Galàs e soprattutto le flessioni della fonazione di Demetrio Stratos, che negli anni 70 raggiunse risultati al limite delle capacità umane, le diplofonie dalle frequenze fino ad allora impensabili.
“Il gioco della voce”, l’improvvisazione che coinvolge ogni pubblico come nelle performance dal vivo nelle quali McFerrin intona e suggerisce, stimola e agita, diverte e cattura il senso democratico della condivisione come “paradigma etico ed estetico, punto d’intersezione per eccellenza tra musica e vita”, come sottolinea Cesare Fertonani nella Prefazione. Il Gioco di McFerrin varia da Ellington a Gershwin, da Vivaldi a Mozart, dal pop in verità discutibile di Don’t Worry Be Happy, enorme successo commerciale in verità di discutibile gusto, alle collaborazioni con il piacevole estro black di George Benson, Al Jarreau, Grover Washington, per poi verticalizzare nel flou swing dei Manhattan Transfer, nel Jazz Rock dei Weather Report, dopo i punti di riferimento Pharoah Sanders, Wynton Marsalis, Dizzy Gillespie (che di divertimento ne sapeva davvero molto) e soprattutto Chick Corea, amico fraterno e ispiratore di passaggi inusuali, passando tra potenze mondiali della musica come la London Philharmonic Orchestra o la Wiener Philharmoniker, che gli affidarono addirittura la direzione, quasi contemporaneamente alle magnifiche collaborazioni con l’eccellente violoncellista Yo-Yo Ma.
“Suoni d’ogni sorta, dall’emissione a voce piena al falsetto, dal rumorismo a gemiti, mugugni e grugniti”, il tutto all’insegna del divertissement e “all’inclinazione al brillante intrattenimento che appartengono di diritto alla storia del Jazz”, sipari ma anche siparietti di un raffinato Vaudeville imprevedibile, solare e ironico.
Oltre ad un’attenta biografia la musicoterapeuta Valentina Voto propone un’interessante analisi culturale e spirituale, una completa discografia ed i coinvolgenti riferimenti visivi su Youtube di un vocalist unico, imprevedibile punto di riferimento per chiunque intenda “suonare con la voce”, che “resta tuttavia in un insondabile mistero, lo stesso di altre vite esemplari – eccezionali perché perfette realizzazioni della propria forma – e lo stesso che si nasconde tra le pieghe dell’arte di Euterpe e che fa sì che noi continuiamo a meravigliarci di essa”. Mistero e Meraviglia: i termini chiave per chi, volendo esser ricordato solo “as a good man”, continua a volare in quelle nuvole che immaginiamo nei blu profondi di Marc Chagall, nel modernismo dei papiers déchirés di Hans Arp e nelle pieghe più sensibili di Blue Notes formate nel Moderno-Contemporaneo di un Popolare ben definito e illuminante, un inconsueto talento per il quale, come ricorda l’Autrice, “l’improvvisazione è il modo numero uno per sapere chi sei, chi sei davvero”.