Una e centomila
Tante storie
Una piccola raccolta di racconti. Racconti che restano nella memoria: cose di questo mondo e “cose dell’altro mondo”. Un’autrice esordiente, esperta di letteratura e di scrittura, appassionata di musica classica e contemporanea; influenzata dai classici che insegna a scuola, e probabilmente dalla lettura di altri autori come per esempio Gabriel García Márquez (per gli aspetti magici), Charles Bukowski (il “modello Lule” del racconto Donne a pezzi fa pensare a La macchina da fottere tratto da Storie di ordinaria follia), Don DeLillo (Lule 74, Ponti e Omega 74 ricordano l’agghiacciante romanzo Zero K), e ovviamente Raymond Carver (per la brevità dei racconti “lunghi un caffè”, e per qualche finale a sorpresa).
Lule è una e centomila. Potrebbe essere il nome di una farfalla o di una maga, oppure il nomignolo affibbiato in età infantile di cui l’adulto non sia riuscito a liberarsi. Invece, Lule è tante cose insieme. Una varietà di personaggi femminili che riflette l’universo unico delle donne. Donne belle, buone, ma non prive di difetti. Altrimenti sarebbero dee.
Così, come per magia, dal cilindro – disegnato su copertina viola che sfida la “sfiga” – escono, non certo in maniera casuale, i racconti di Cinzia Mescolini. Tanti quanti sono i personaggi che portano il nome Lule. Una materia viva plasmata da un’autrice oggettiva, ironica, talora spietata, ma sensibile e razionale. In questi dodici racconti si affrontano temi disparati, importanti e attuali: solitudine; genitorialità negata, prima dalla natura, e poi dal sistema burocratico; intelligenza artificiale; intolleranza della società verso la “debolezza affettiva”; amore filiale; pene d’amore; femminicidio, narrato con “la morte nel cuore”; disturbi alimentari; abusi familiari; alcolismo; suicidio. Note commoventi attraversano quasi tutti i racconti, nella consapevolezza che nella vita si ride e si piange. E si sogna …
Realtà e magia si fondono, senza forzature, nei racconti della Mescolini, dando vita alla sua voce inconfondibile. Le frasi brevi sono costruite con la cura per i dettagli, senza l’uso smodato di aggettivi e avverbi ridondanti, con la giusta punteggiatura, e sono impreziosite da similitudini, metafore, climax, metonimie, ossimori, sinestesie, analogie. Così, il linguaggio semplice (ma non semplicistico) si carica di significati enigmatici, che potrebbero anche alludere a elementi autobiografici. A partire dalla dedica, c’è un filo conduttore: “Papà, puoi venire a prenderci per favore?”, “Papà, sei tu?”.
La protagonista, però, è donna. Un mondo femminile tutto da scoprire.
La chiave di lettura di Lule, utile a quest’ultimo scopo, potrebbe essere quella suggerita dall’esergo: “Le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede”, estratto dalla famosa poesia di Eugenio Montale, dal titolo “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, dedicata per l’appunto a una donna, sua moglie. I gesti comuni della vita quotidiana aiutano a sopportare le sofferenze e ad attenuare la solitudine umana. Quasi mai la realtà è quella che si vede. Può accadere, per esempio, che una madre non sia “una grande donna”; che il tuo dondolo “non è il tuo”; che la vita non sia “tutto in uno scatto”; l’importante è averne la consapevolezza, al fine di comprendere la “fragilità” umana, e maturare il giusto spirito di tolleranza nei confronti degli altri, e di se stessi. Proprio “una bella lezione”!
La poesia è intrisa in ognuno di questi racconti. La sensibilità di ciascun lettore potrà individuarla e farla emergere, passando dal bosco dei pensieri espressi al sottobosco dei concetti taciuti, come le luci che filtrano tra le foglie degli alberi in quella dimensione che i giapponesi indicano con il termine un po’ fiabesco komorebi. Un momento breve ma intenso, come i racconti di Lule. “Ciao Lule, sei libera dopo il collegio?” – è questo il finale dell’ultimo racconto: ironico, scanzonato e irriverente pur nella sua reale drammaticità. Piace, ma fa riflettere.