Dentro i classici

Leggere il passato

Hôlscher

Tonio Hôlscher
La cultura visiva nel mondo greco e romano
Tra arte e vita sociale
Carocci, 2024, pp. 496
€ 49

“Visual Power in Ancient Greece and Rome”: questo il titolo originario dell’opera. Diciamo subito che le quattrocento pagine di racconto, corroborate da cinquantacinque pagine di fitte note, danno immediatamente la sensazione di un grande impegno comunicativo e spessore culturale.

Meglio si ama e si apprezza l’arte di queste epoche, più si gode della efficacia del racconto e delle descrizioni. E torna sempre l’antica questione, forse mai risolta: “sono io che scelgo il libro… o è il libro che mi chiama, che sceglie me”?

Diciamo così, in sintesi: dalla fine del Sesto Secolo A.C. fino al Quarto Secolo D.C.  abbiamo mille anni, in cui, pur se in forme in parte diversificate, le immagini, nella pietra, nel marmo, nella pittura, nei mosaici, vanno lette dentro il loro specifico contesto, magari, parzialmente illuminate da ciò che resta dei passi letterari ad esse dedicati.

Immaginare i colori dei marmi del Partenone, dell’Area Sacra di Zeus a Olimpia, delle statue di Eroi, Campioni, Politici ad Atene, a Olimpia, come a Roma, secoli dopo, con la Ara Pacis di Augusto o lo splendore della Colonna Traiana e della Basilica Ulpia. Quale potenza di coinvolgimento emotivo… i colori (non da meno tutte le statue delle divinità dell’Impero, Cristo compreso, nel Pantheon!).

E poi: oltre i colori, il modellato, le espressioni dei volti, dei corpi, fin degli animali.

Si potrebbe parlare di “realismo idealizzato”. Ovvero: i volti di Milziade, di Temistocle, di Alcibiade, di Alessandro: come quelli di Cesare, Augusto, Nerone, Traiano, limitandosi all’essenziale, vengono presentati in un prodigioso equilibrio tra le loro vere fattezze, e l’espressione, la veste e i dettagli, che trasmettono il loro messaggio/programma, nella loro epoca (e anche in proiezione, per il futuro e i posteri).

Messaggi diversificati, diversamente potenti, intriganti, pur se a tratti connotati in modo che, la nostra attuale sensibilità, consapevole o inconsapevole, di cristiani, in parte ce li inibisce e frena, se non si è a mente davvero elastica e aperta.

Si passa poi alla “ricostruzione” delle commemorazioni e delle esibizioni pubbliche dopo una grande vittoria, un trionfo. I colori delle vesti, gli accessori, i gioielli, il procedere delle truppe vittoriose, gli strazi e i lamenti dei vinti, davanti alla massa, che doveva essere “drogata” da un enorme apparato scenico, gratificata, commossa, distratta, pagata e nutrita.

Ancora oggi, venticinque secoli dopo: “io c’ero”, a quell’evento, a quel concerto, a quella rappresentazione. Per trasmetterne la memoria (ma siamo davvero sicuri, nell’intimo di noi stessi, al di fuori di ciò che ci circonda e che usiamo, di essere così mostruosamente diversi, dopo venticinque secoli… dentro?!?).

Agganciandomi sempre al testo, mi permetto alcune osservazioni, storico artistiche.

Diverse pagine sono dedicate alla Grecia antica e – come noto – nella scultura, tutto comincia con i “Kouros”, diciamo, circa, dal 650 A.C. fino, grossomodo, alle Guerre Persiane.

Stiamo parlando di circa centosessanta/centosettanta anni di storia in cui, di fatto la grecità copia l’Egitto, sopra a tutto quello di Sais ventiseiesima Dinastia(“Saitica”). E le sculture del Rinascimento Saitico, Sotto i tre Psammetico, Aprie, Neko, Amasi (attenzione alle date, 664-525 A.C.).

Molti porti e scambi con il Delta del Nilo, molta merce. Le somiglianze, le pose sono impressionanti ma la levigatezza perfetta dei maestri del Delta resta insuperata e bisogna inventarsi qualcosa che differenzi, per non essere cloni. Il colore! Almeno quello!

Poi, passato il turbine delle guerre contro Dario e Serse, le cose sì, cambiano molto, dalla metà del Quinto secolo (ma ci sono volute otto Generazioni!). Ed eccoci a Fidia, il resto procede da sé.

Ma, quando parliamo della migliore statuaria e ritrattistica romana, dobbiamo far passare almeno sei secoli dopo la fondazione, diciamo l’ultimo secolo della Repubblica, quando, sulla base di quanto si era “grecizzati”, ci si era impossessati dei modelli classici, particolarmente di epoca Alessandrina.

“La Grecia conquistata conquistò il Conquistatore Romano”, si diceva. Forse si potrebbero pure invertire i valori: nel senso che i capolavori romani siano, nell’intimo una sorta di “Arte Greco/Imperiale”?

Un po’ come la monetazione della metà orientale dell’Impero, dai Balcani al Nilo e alla Arabia Petreia, con i ritratti degli imperatori romani, e le leggende in greco (e non solo quelle).

La Letteratura Latina ci dice che con Livio Andronico, greco di Taranto, prima metà del Terzo Secolo A.C. nasce la prima opera, guarda caso “Odissea”; tradotta dal greco in un latino rozzo anziché no. Poi piano piano Nevio, Pacuvio, Accio, tutti greci di Magna Grecia, che pian pianino migliorano il “mos rusticus” dei primi due secoli.

Il “De Rerum Naturae” Epicureo di Lucrezio (60/50 A.C.), dà il via al grande latino dell’epoca aurea, pur se con una fluidità ancora non assoluta (ma non mancano momenti memorabili e sublimi).

Concludo con un rapido excursus numismatico: ci sono monete greche (le più belle della Magna Grecia) e Romano Imperiali, diciamo da Cesare in poi, di particolare freschezza e scarsissima usura, di qualità altissima per i tratti, i dettagli, l’espressione del volto, l’alto rilievo della battuta, la potenza del ritratto. Come delle stupende Ninfe Arethusa e le meravigliose bighe/quadrighe sui sublimi Tetradrammi/Decadrammi Magno Greci, su tutti Siracusa e Agrigento.

È davvero un Mondo Morto?