Suono, dunque penso
Il saggio
Da dove viene la musica e, più in generale, l’arte? Dopo l’avvento delle neuroscienze, è diventato difficile, come accadeva ai tempi di un Cartesio o di un Locke, fare affermazioni che non tengano conto della convergenza di fattori molteplici e interdipendenti in un medesimo progetto. E su questa strada di una lettura complessa, multilaterale, dinamica del fenomeno musicale si mette l’autore di questo bel saggio per trovare “l’origine”, non nel senso di “una genesi empirica”, ma di “una ritmica dell’accadere e del trascorrere degli eventi, la quale deve coinvolgere sia la preistoria che la post-storia di un’idea”.
Vengono passate in rassegna le diverse prospettive teoriche, da quella romantica (che fa derivare l’arte dall’ispirazione svincolata da regole e strutture) a quella cognitivista (in base alla quale esistono programmi universali di comportamento, schemi apriori inaggirabili), da quella comportamentista (secondo cui, al netto dei presupposti biologici, sarebbero i fattori storici e culturali a determinare il linguaggio musicale), a quella darwinista, oggigiorno ripresa da psicologi e musicologi evoluzionisti tra cui Ellen Dissanayake e Winfred Menninghaus per i quali l’evoluzionismo offre la possibilità di comprendere un grande spettro di espressioni umane legate alla musica che vanno da quelle adattive a quelle creative, da quelle cooperative a quelle emotive, da quelle funzionali a quelle ludiche e rituali, a metà strada tra logica e non logica.
Quest’ultima prospettiva, nelle parole dell’autore, sembra la più adatta a rendere conto della complessità e della versatilità del linguaggio musicale, cioè di quella varietà sorprendente di attività e di funzioni che coesistono al suo interno.
“Pur partendo dagli assunti della teoria della mente elaborata dal cognitivismo, gli psicologi evoluzionisti hanno operato diverse resistenze all’idea modulare classica (anticipata da Chomsky sul piano linguistico e perfezionata da Fodor su quello cognitivo) circa l’esistenza di una architettura cognitiva costituita da strutture invarianti e universali basate su sistemi distinti e specifici, di natura computazionale, indifferenti al sostrato biologico che li ospita, per nulla o scarsamente sensibili alle pressioni ambientali […] i sostenitori di un programma di psicologia evoluzionistica (autori come Cosmides, Tooby, Pinker) accolgono l’ipotesi della mente modulare, ma tendono ad estenderne la portata ad una molteplicità di funzioni”.
Questo è un abstract, spero fedele, del libro.
Ma ci sono altri aspetti che è il caso di sottolineare a conferma di quanti ambiti questa indagine biomusicologica sia in grado di coinvolgere: l’antropologia e la retorica, la filosofia analitica e l’estetica, la linguistica e l’etica.
Il primo aspetto riguarda il rapporto tra musica e pratiche disinteressate, anti utilitaristiche. Ci sono state e ci sono culture in cui, alternativamente al mercato, viene praticata un’altra forma di scambio, quella studiata da Mauss (obbligo di dare di ricevere e di restituire) o da Polanyi (il dono senza tornaconto), da Caillé e Godbout (il dono come legame sociale) o da Derrida (il dono puro, immacolato). Ebbene questo tipo di scambi avvengono all’interno di cerimonie dove l’elemento musicale, ritmico, è parte integrante della comunicazione e della diffusione.
Il secondo aspetto riguarda la dialettica che rintracciamo nell’esperienza musicale tra vincoli genetici e possibilità, tra regole e trasgressione, tra tracciati e deviazioni, tra sonanze e dissonanze. Qualcosa di molto simile a quanto de Saussure ha visto nel linguaggio, in particolare nel movimento della langue e della parole.
Il terzo aspetto riguarda il rapporto tra musica e retorica visto che l’esercizio del logos come modalità persuasiva di un uditorio lo troviamo spesso congiunto con elementi sonori, ritmici, prosodici, oltre che visivi. Del resto la retorica, quando nasce, è una pratica orale e non può non tenere conto accanto all’inventio e alla dispositio anche dell’elocutio e dell’actio.