Serial killer per fallimento

Tante storie

Alessandro Ceccherini
Che venga la notte
nottetempo, 2024, pp. 336
€ 19

Non è facile scrivere un libro su un serial killer senza lasciarsi prendere da un lato dalla ricostruzione giudiziaria, dall’altro da una sorta di fascinazione per il criminale. Alessandro Ceccherini riesce a evitare entrambe le derive con il romanzo “Che venga la notte” (nottetempo, 2024) dedicato alla figura di Donato Bilancia, l’assassino seriale che in soli sei mesi, tra il 1997 e il 1998, uccise diciassette persone, principalmente in Liguria dove viveva dall’età di cinque anni, dopo esser nato a Potenza nel 1951.

Ceccherini non è nuovo a misurarsi con simili figure e si era già fatto notare nel 2022 con un libro dedicato alle vicende del mostro di Firenze. Questa sua seconda prova conferma le capacità narrative dell’autore che in una nota finale ci tiene a precisare che “Donato Bilancia è realmente esistito. Tuttavia questa è prima di tutto un’opera letteraria, e all’interno della narrazione vi sono sia personaggi reali che fittizi, così come ciò che viene raccontato, pur fondandosi su fatti accaduti, è rielaborato dall’immaginazione”. Proprio gli aspetti letterari e narrativi sono quelli che maggiormente colpiscono nell’opera di Ceccherini.

Il libro è strutturato in tre parti. La prima esordisce con Bilancia dodicenne e racconta del suo avvio alla carriera criminale: dai furti di biciclette alle rapine in compagnia di malavitosi locali. Bilancia sceglie di farsi chiamare Walter perché Donato è un nome da terrone e lui vuole cancellare le sue origini meridionali. Ceccherini ipotizza che la somiglianza con Walter Chiari possa essere all’origine del nomignolo, ma rientra in quella dose di immaginazione che arricchisce il libro, pur non avendo riscontri fattuali. La parabola è simile a quella di tanti altri casi di vita al di fuori della legge: una famiglia poco accogliente, l’interruzione precoce degli studi e un crescendo criminale. A ciò si aggiunge una visione malata nei confronti delle donne a cui contribuisce il complesso per avere un pene di piccole dimensioni e la tragedia familiare del suicidio del fratello che, scoperta una relazione extra-coniugale della moglie, si getta sotto un treno con il figlio di tre anni. Per Walter le donne sono tutte puttane e questa l’unica relazione che lui vi stabilisce, umiliandole e offendendole in più occasioni.

Nell’arco di trent’anni troviamo Bilancia che passa dall’essere ragazzino a giovane e poi adulto. Sesso mercenario, vita notturna, soldi, gioco d’azzardo, macchine di lusso, fama. È il modello inseguito con scarso successo. Il crimine gli rende, ma poi spreca tutto al Casinò, fino a quando perde pesantemente per effetto di un imbroglio in cui viene incastrato. Qui si rompe l’ordine della prima parte del libro. A quarantasei anni si può ben dire che Bilancia è un fallito e la sua presa di coscienza scatena il caos che caratterizza la seconda parte del libro.

Qui la cronaca di Ceccherini si fa serrata, i flash narrativi si distanziano di pochi giorni tra loro, a volte poche ore. Ed è cronaca di sangue. Walter uccide chiunque gli ricordi il suo fallimento esistenziale, molte donne, prima prostitute, poi sconosciute incontrate sui treni, chiunque sia ai suoi occhi un ostacolo a un successo che ormai è chiaro non potrà mai arrivare. Non crede neanche alla sua affermazione come serial killer. Prova a interagire con gli inquirenti, suggerisce lui stesso un legame tra gli omicidi, ma non ha alcun piano, lascia tracce in più occasioni – tra cui le foto ai caselli autostradali dove passa senza pagare, infilandosi con l’auto che lo precede, a testimonianza del livello di miseria esistenziale cui è ridotto – che permetteranno finalmente di risalire a lui e arrestarlo.

La terza parte del libro è dedicata alla stasi del carcere. La scansione temporale va per anni che si succedono, anni di galera. Prima l’isolamento diurno, poi i primi contatti con gli altri detenuti e con i percorsi di rieducazione e recupero. Nonostante la schiera di lutti che ha provocato, non ha neanche in questa fase la stoffa del serial killer: Paolo Bonolis lo intervista in esclusiva per Domenica In, ma la spettacolarizzazione non decolla, Bilancia è un cinquantenne senza appeal. Prova inutilmente e in maniera poco credibile a far riaprire il processo, ma c’è poco da fare: di fatto è un sepolto vivo con sulle spalle tredici ergastoli, niente permessi – se non per visitare la tomba dei genitori -nonostante la buona condotta e la beneficenza nei confronti di un bambino con sindrome di Down. Alla fine il contagio del COVID nel 2020 è quasi una liberazione: rifiuta la terapia intensiva a cui era destinato da fumatore incallito ed essere portato via dall’evento eccezionale pandemico sembra quasi restituirgli quella dimensione speciale che gli era sfuggita per tutta la vita.