Riportare in vita i sommersi
Tante storie
“Le vite minuscole” (il libro è uscito nel 1984 e oggi Adelphi lo ripubblica) è un libro cult di uno scrittore che, come pochi, ha saputo riscattare le storie minori ignorate dalla grande storia, quelle storie che apparentemente non delineano nessuna teleologia, e stanno ai margini dei grandi cammini dello spirito.
Nessuna di queste vite da marginali può essere dimenticata, su nessuna può scendere il buio eterno perché ogni vita è fatta di lotte, di impegno, di attese, di desideri e di senso, e dunque ogni vita merita di essere raccontata. Essa la si misura non dalla visibilità o dal successo, ma dalla tensione aristotelica all’autorealizzazione, dall’entelechia, dallo sforzo, dalla potenza che anela ad attualizzarsi, e nella gran parte dei casi, per l’azione di forze contrarie, indipendenti dalla volontà personale, non ce la fa.
Su questi scarti o fallimenti, sulle discrasie tra destino a carattere, tra sogni realizzati e mancati, si concentra Michon che, con una scrittura potente e barocca, riporta in vita i suoi antenati e la loro speranza, più o meno palesata, di staccarsi da una strada già segnata. Egli, come scrittore, è l’erede di queste vite minuscole, il sopravvissuto che, come in Moby Dick, ce le racconta, il messaggero tramite cui noi possiamo saperne qualcosa. Le storie stanno lì ad aspettarlo, e non c’è bisogno che si inventi niente. Deve solo trovare uno stile per farlo.
“Possa uno stile appropriato aver rallentato la loro caduta: la mia forse sarà più lenta; possa la mia mano aver dato loro la facoltà di aderire nell’aria a una fugacissima forma dalla mia sola tensione creata; possano prostrandomi aver vissuto, in modo più autentico di come viviamo noi, quelli che a malapena furono e così poco tornano ad essere. Possano, forse, essersi manifestati, sorprendentemente. Nulla mi appassiona quanto il miracolo”.
Come non vedere in queste righe anche una riflessione sulla scrittura, sull’urgenza dello scrivere e sul terrore della pagina bianca, sulle inquietudini e il mistero dell’ispirazione? Se lo scrittore vuole essere autentico – lascia intendere Michon – non può non fare i conti col dilemma etico ed estetico essenziale di ogni creazione: come si fa a tradurre in maniera linguistica quello che è extralinguistico, e fino a che punto una realtà extra, oltre, fuori, divergente, come ad esempio il dolore, può essere veramente detta, comunicata? Si può gettare una luce su queste sparizioni, su queste assenze?