Quel satanasso di Frank Zappa
Che spettacolo!
Dire del musicista americano è parlare dell’evoluzione delle arti nel tardo 900 e delle sue proiezioni nel 2000, in quanto oltre a chitarrista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra, è stato uno spericolato e accanito dadaista della politica e del perbenismo yankee, un veterano di palchi alla Kurt Weill con rimandi alla Pop Art e al teatro d’avanguardia, gladiatore sbruffone, eterna Winston all’angolo della bocca, pantalonacci su cui sbattere la chitarra, baffoni e codaccia, passeggiate dalle Quinte al proscenio e chiacchierate col pubblico, risate sardoniche, voce stralunata per insistiti accaniti recitativi, clowneschi taglienti e maleducati, testi da Groucho Marx inframezzati da ogni mistura pensabile in note rock, progressive, jazz, dodecafoniche, folk, etno.
“ Se non vi piace non ascoltate ma è meglio se ascoltate” suggeriva Zappa nel tour Brodaway Hard Wayper il quale il fotografo Milo Albonico venne ingaggiato dall’ottobre del 1987 al maggio del 1988 e che in questo libro, coadiuvato dal giornalista Stefano Milioni, narra con efficacia attimi di vita e d’arte del satanasso del Maryland, la sua vita “normale”, le sue amicizie ed i suoi piaceri bislacchi, gli affanni dati ai suoi strumentisti per la soluzione degli interrogativi armonici sollevati per la muscolosa sezione fiati e per le tastiere. Fu un tour – con relativo disco – denso di aspre dinamiche: lui parolaio irruente, demiurgo discutibile di certo ma magnetico nei magnifici soli di chitarra, ipnotico, lisergico, ubriacante nelle scelte ritmiche tra Edgar Varese ed i Cartoon, poliedrico, misogino, volgare italiota figlio di un immigrato di Partinico che discuteva di Guccini, dei Devo o di Miles Davis, irrequieto diavolaccio dall’ironia irresistibile contro il Sistema americano di Ronald Reagan; poca igiene e rifiuto totale d’ogni droga. Ci credereste? Qualora qualcuno dei suoi musicisti fosse stato beccato sarebbe stato cacciato…
Ben raccontata dagli autori la genesi un po’ pazzoide dell’LP, dalla passione per il blues e per l’R&B all’amore per il Barocco e la London Symphony Orchestra, per inciso quello prodotto a ridosso del tour non è il miglior disco di Zappa specie se paragonato al “siparietto freak sull’America dell’epoca” con contaminazioni blues-rock, doo-wop, free jazz di “Freak Out!” (1966), “Uncle Meat” e “Hot Rats (1969), “Waka/Jawaka” e “ The Grand Wazoo (1972), “Apostrophe” (1974), “Joe’s Garage”(1979) e “Jazz from the Hell” (1986) – copertine da collezionare – ma un compendio di sciabolate visionarie astiose, sferzanti, ruvide, scabre, quasi inaccessibili, sconnesse, irregolari, irte e astiose tra le amate Sei Corde Gibson e Fender in schiaffeggianti registri acidi, buiastri ed esplosivi per i sistemi elettronici connessi ad un preamplificatore –equalizzatore per contenere l’effetto Larsen e tendere i suoi Live in modo decisamente psichedelico ed emozionante.
Un libro decisamente da non mancare per chi ha ancora nel cuore Frank Zappa; magnetica la descrizione che ne fanno gli autori, che sicuramente non ce ne vorranno se esprimiamo perplessità sull’appellativo “padrino”.
Suggerimento: da leggere ripassando le malie di Camarillo Brillo, Apostrophe, Cosmik Debris, Muffin Man, Willie The Pimp, Peaches in Regalia, Dirty Love, Little Umbrellas, Road Ladies e Chungas Revenge.