Per una fenomenologia del jazz in Italia
Che spettacolo!
C’è sempre molto da dire e molto su cui riflettere circa il Jazz italiano, colpito per anni dall’accusa di imitazione e di scarsa temperatura emotiva rispetto ai capiscuola americani: ma non è così, lo è da decenni se si è veramente a conoscenza delle stature artistiche dei nostri musicisti.
Non è tanto una “Ora di Dirlo” da parte dell’Autore – che comunque sarebbe stato più che giustificato – quanto interessanti conversazioni con i nostri jazzisti che hanno spesso saputo dar qualcosa di Mediterraneo ai vari stili, variazioni nuove e diagrammi sociali osservati solo in parte nella Terra di storica Appartenenza delle Blue Notes, gli States, e lì comunque per mano di centri decisamente alternativi e insoliti, quali quel Greenwich Village o quella Los Angeles che esautorarono il Piacere dell’Ascolto in nome di un j’accuse volitivo sia contro l’ottuso perbenismo europeo che contro gli idioti diktat yankee contro qualsiasi grolla sapesse d’Afro e di progressista. Idem per il Rock e derivati, specie il Progressive.
Dieci decenni di jazz italiano (dal gradevole Nascosto delle grandi orchestre del Ventennio per ovvi motivi contro tutto ciò potesse ricordare la “perfida Albione” e nazioni affini, alla Liberazione, in tutti i sensi, dei grandi quartetti e quintetti del Dopoguerra, ai furori avanguardistici degli anni 70 ed all’interessante Contemporaneo talora eccessivo nelle produzioni discografiche) narrati per voce di grandi interpreti. Cento sono davvero tanti, e pensare che l’Autore non ha certamente il piglio di chi vuole “dir tutto di tutti”. Tra loro Paolo Damiani, Franco D’Andrea, Claudio Fasoli, Paolo Fresu, Enrico Intra, Giorgio Gaslini, Rita Marcotulli, Dino e Franco Piana, Enrico Rava e, fa molto piacere ricordarlo, il fenomeno progressive degli Area, ben conosciuto anche negli States oltre che nell’ Europa del Nord, come accade anche per l’ottimo sound del Perigeo.
In che modo si parla del Jazz? Certamente con passione e competenza, come l’Autore testimonia nelle dizioni sincere, concrete e individuali dei monologhi/dialoghi nei quali si può comprendere molto del Made in Italy, al di fuori degli stereotipi di racconto, in particolare riguardo le incognite dell’improvvisazione e quell’Incompiuto che è Impossibile Possibile “viaggio nella memoria” in un Immaginario che “vuole arrivare al maggior numero di fruitori (jazzofili e non)” tramite le parole di uno “star bene” spirituale che si accende sempre quando si dice di Blue Notes.
Intendiamo riflettere sulle parole di Dino Piana: “musica di libertà, un linguaggio espressivo adattato come koinè europea in grado di dialogare ormai alla pari con gli improvvisatori americani”. Anzi, non di rado, dal 1923 al 2013, anche qualcosa in più.
500 pagine, nessuna superflua.