Il saluto al mondo di un grande scrittore
Tante storie

Mario Vargas Llosa
I venti
Einaudi, 2025, pp. 96
€ 14
I venti che soffiano nell’ultimo libro di Mario Vargas Llosa non conducono velieri verso nuove avventure, non fanno cadere dalla nave il nocchiero; né sono possenti espressioni di quella natura del nuovo mondo, come i fiumi profondi di Arguedas. Nulla di aulico. Sono venti che escono dal corpo ormai vecchio del protagonista. Sono venti che escono dal corpo privato della dignità di un uomo che deve essere stato molto bello e molto amato dalle donne. Come era appunto Vargas Llosa. I venti sono flatulenze maleodoranti, imbarazzanti, che il protagonista non riesce a contenere, a governare.
Vedovo e pieno di rimorsi per la moglie abbandonata solo per una storia di sesso, una storia di pichula (ma possiamo dire “solo”? magari a riaverlo, ora, il corpo e il sesso!), il protagonista vive a Madrid (ma è casa sua? O come Vargas Llosa è lì da esule? Infatti quella parola è in uno spagnolo sudamericano che in Europa nessuno comprende). Dopo una manifestazione contro la chiusura dell’ultimo cinema, Ideal, si perde, non ritrova la strada di casa e passa un’intera giornata per strada, fermandosi a qualche panchina, in balìa dei venti. Altre volte aveva partecipato a manifestazioni simili: contro la chiusura della Biblioteca Nazionale, o del teatro. Nessuna edicola di giornali. Finalmente Madrid è paper free! Soltanto il Prado è ancora visitabile. Ma apre sempre meno, per meno ore al giorno, per un numero ridotto di giorni alla settimana. Ormai tutto può essere visto in rete, o su uno schermo gigante, o sul telefono. Le altre volte, però, non si era perso. Anche perché era in compagnia del suo unico amico, e dopo magari avevano parlato e discusso: lui sempre più “conservatore” e straniero in un mondo che non crede più a lotte ideali, politiche, civili; il suo amico più duttile, più diplomatico. Un artificio letterario per bilanciare una scrittura che altrimenti si esprimerebbe esclusivamente in forma di monologo. E ancora, se il protagonista ha perso la memoria, frasi e situazioni si ripetono. Anche questo è un artificio letterario, è un ribattuto poetico. Perché Vargas Llosa non vuole annoiare con una geremiade: fino all’ultimo resta il grande incantatore. I venti neanche raggiunge la dimensione delle cento pagine care a Calvino: racconto lungo, romanzo breve e potente. Commiato dal mondo per il protagonista e per Vargas Llosa. Un saluto al mondo: di per sé un genere letterario (come La doppia morte di Quincas l’acquaiolo, di Jorge Amado, anche se con diverso registro narrativo).
Certamente il racconto è fortemente politically incorrect. Si intuisce già dal titolo – una volta capito il doppio senso rablesiano – e continua senza ipocrisie, come può chi non ha nulla da perdere e moltissimo da dare: contro ogni crociata. Crociate contro il fumo, contro le corride, contro la carne (intesa come cibo e come sessualità). Neanche nella Madrid dell’Inquisizione si era raggiunto tanto. Oppure crociate a favore di un uso costante di spf, o crociate animaliste (perfino a favore dei roditori, quegli stessi animali da incubo che infestavano La zia Julia e lo scribacchino). Mondo dell’antropocene e dei “parenti di specie”, ma anche mondo appena uscito dal primo round contro il Covid (l’originale è di dicembre 2020). Vargas Llosa ha sempre mescolato romanzo e giornalismo, pamphlet ed elegia. Eccolo qui ancora una volta, fino alla fine, perfettamente dentro il genere misto che caratterizza il nostro primo quarto di secolo e di cui Vargas Llosa è stato un grande precursore: fra saggio e autobiografia, las verdad de las mentiras è nella forza del romanzo.
Scrivere romanzi è un atto di rivolta contro Dio, contro quell’opera di Dio che è la realtà – leggiamo sulla quarta di copertina della storia del primo amore e della scoperta del corpo, della libertà e della scrittura. Con la passione per la zia Julia e con la passione dello scribacchino per i romanzi radiofonici, il corpo giovane aveva preso forma di romanziere. Adesso, il protagonista arriva finalmente a casa (o meglio, a una stanza con bagno, proprio come la prima casa con la zia Julia). Ha recuperato l’orientamento, seguendo un percorso onirico, da rabdomante, fino a raggiungere casa, ossia “un luogo pulito, illuminato bene” – come avrebbe detto Hemingway. Si lava, si libera dei suoi propri escrementi, mette a tacere i venti e da solo si prepara, si stende sul letto. La sua lotta contro la realtà – anche la realtà corporea, la dura realtà della malattia, dell’invecchiamento, della perdita della dignità, della forza, dei desideri e della memoria – si è conclusa.