Memorie di un egocentrico fallito
Tante storie

Luciano Allamprese
Esame di coscienza
Edizioni di Atlantide, 2025, pp. 256
€ 24
Si può essere talmente egocentrici da considerarsi superiori a tutto e tutti anche nel fallimento? Cosa rimane allora da confessare, se non che si è vecchi, malati e stanchi? Luciano Allamprese costruisce in Esame di coscienza (Edizioni di Atlantide, 2025) un romanzo che si sviluppa come un processo di autoanalisi di un egocentrico incallito, un campione di egocentrismo.
Il protagonista, un manager dalla carriera apparentemente solida, ma non certo esaltante, viene spinto a un doloroso bilancio esistenziale non da volontà introspettiva, men che mai autocritica, ma dall’improvvisa comparsa di Hugo, enigmatico personaggio il cui arrivo innesca una sorta di inchiesta involontaria sulla propria vita. Attraverso questo espediente narrativo e una trama avvincente che ne deriva, Allamprese conduce il lettore in un percorso che è insieme indagine e confessione, dove ogni dialogo e ogni incontro diventa occasione per misurare il fallimento delle proprie relazioni.
La scrittura dialogica rappresenta uno dei punti di forza del romanzo. Allamprese dimostra particolare abilità nel costruire conversazioni che coinvolgono l’intera costellazione di personaggi: da Hugo a un ispettore di polizia, dalla ex moglie Alicia ai figli, dagli ex compagni di scuola ai colleghi di lavoro. In questi dialoghi serrati, spesso carichi di ironia amara, emerge con chiarezza l’incapacità del protagonista di stabilire rapporti affettivi, se non nella relazione con gli animali domestici – unici esseri con cui abbassa le proprie pretese, forse proprio perché già naturalmente subordinati.
Particolarmente significativo risulta il confronto con i figli, in cui il padre vede una propria emanazione venuta male, al punto da essere portato a disconoscerli. Il figlio che si cimenta nella scrittura, ottenendo un riconoscimento inaspettato che suona come beffarda smentita al giudizio paterno introduce un meta-livello, avvicinando ulteriormente lo stesso Allamprese alla costellazione dei suoi personaggi, in un gioco di specchi tra autore e creazione letteraria che esalta questo passaggio tra scrittura e vita negli inserti in corsivo disseminati nel testo. Questi frammenti, culminanti nell’epilogo – “Questa è la mia sola confessione possibile. Questa confessione è il mio solo romanzo possibile. Questo romanzo è la mia sola confessione possibile. E i miei figli ne facciano quel che vogliono.” – mantengono volutamente ambigua la loro attribuzione, oscillando tra voce del protagonista e riflessione diretta dell’autore, creando un ponte ulteriore tra finzione e autobiografia.
Hugo stesso e l’ispettore di polizia sembrano due maschere antitetiche del protagonista stesso (e quindi – di rimando – dell’autore): millantante un passato di azione e passioni il primo, uomo d’ordine e intuito investigativo il secondo, entrambi gli rinfacciano quel che lui non è stato, per scelta o per incapacità, i suoi errori, ma non riescono a demolire il suo mondo autoreferenziale, quasi Allamprese abbia voluto relegarli a creature letterarie, congeniali alla storia, ma su un piano di netta subalternità rispetto allo specchio principale che è rappresentato dal protagonista del romanzo.
In effetti al centro della storia spicca la figura del protagonista, alter-ego dell’autore, volutamente mostrificato dal gioco letterario per quanto riguarda tratti di personalità e relazioni con il prossimo, il cui egocentrismo è tale, pur nella sconfitta e nel fallimento, da non concedere nulla ai termini di paragone offertigli da chi lo circonda: ai suoi occhi o sono ancor più falliti di lui, oppure godono di un successo non meritato e sotto-sotto fasullo nella sua personale – e manco a dirlo irraggiungibile da altri – scala di valori.
L’unico cedimento vero concesso dal protagonista alla considerazione che ha di sé stesso viene dalla malattia e dall’età che avanza: lì è disposto ad abbassare le barriere dell’ego e aprirsi agli affetti, almeno quelli di solidarietà umana. Aver dovuto sostenere per una intera esistenza una tale abnorme idea di sé, in fondo, è stata una gran fatica e il protagonista è stanco e anche un po’ annoiato dalla vita, tanto più che il riconoscimento altrui sembra non essere stato all’altezza (avrebbe potuto mai esserlo?). Che sia questa in fondo, al di là degli Hugo o dei poliziotti letterari, l’origine dell’esame di coscienza che Allamprese propone con il suo libro? La sola confessione e il solo romanzo possibile?
Il libro è denso di omaggi e ispirazioni letterarie. Il richiamo a Svevo è evidente – nonché indirettamente citato nel testo – nella profondità psicologica dei personaggi e nella loro dimensione interiore, mentre il tema pirandelliano delle maschere emerge nel continuo gioco tra identità e finzione. Non mancano riferimenti alla lingua e alla letteratura sudamericana—con brevi inserti in spagnolo che testimoniano l’amore e la profonda conoscenza dell’autore per quella cultura e quell’idioma—ed echi di autori e autrici vari della letteratura mondiale, in prosa o versi, nella crudezza esistenziale che permea la narrazione.
L’edizione curata da Atlantide, in mille esemplari numerati, offre una elegante veste a un’opera che esplora con coraggio le zone d’ombra dell’esistenza, senza concedersi facili redenzioni. Esame di coscienza si rivela così un romanzo sapientemente costruito, nonostante la semplicità e chiarezza di lettura e una trama coinvolgente, che unisce alla precisione psicologica dei personaggi una struttura narrativa originale, dove il percorso di autoanalisi del protagonista si fa specchio delle contraddizioni e delle ipocrisie che tutti, in misura diversa, portiamo dentro.