Leonardo, il fiorentino circasso

Tante storie

Carlo Vecce,
Leonardo, la vita.
Il ragazzo di Vinci, l’uomo universale, l’errante

Giunti, 2024, pp. 660
€ 22.00

Uno strano inizio. Il mistero avvolge da sempre più punti della vita del “Genio Universale del Rinascimento”. E viene tutto confermato da questa nuova e originale pubblicazione di Giunti: Carlo Vecce, “Leonardo, la vita”.

Prequel: Peste Nera 1347/48 (vedi il Preludio, nero e disperato, all’Inizio del Decamerone di Boccaccio, che per reazione uguale e contraria alla morte devastante, produce la “Commedia Umana della Vita”, compensando il grandissimo calo di spiritualità del capolavoro dantesco, con un ricchissimo campionario di archetipi umani, dove la infinita dolcezza e tenerezza si mescola con i più bassi e diabolici istinti depravati). Firenze ha perso più o meno un cittadino su tre, in media.

Enorme buco generazionale da ripristinare. Vuoto artistico, o quasi, rispetto a soli venti anni prima, che tornerà ai ritmi precedenti solo con l’avanzato Quattrocento. Serve sangue nuovo, e vite giovani, nuove. Ma… dove cercarle? In Oriente, diciamo non lontano dai luoghi delle Crociate, veicolati dalle navi della Repubblica di Genova, sopra a tutto. Porti genovesi stanno sul Mar Nero, non lontano dal Caucaso, dove intercettano molti prodotti dell’Asia Centrale, intorno al Mar Caspio.

Ed ecco arrivare, tra le giovani leve, in Toscana, sopra a tutto a Firenze, “La Caterina”, la giovane ventenne, che darà alla luce, Aprile 1452, presso Vinci, il figlio naturale di Ser Piero, Notaio già ammogliato, in Firenze.

“La Caterina”, è da poco arrivata nella penisola italiana, parla il fiorentino poco, e sa leggere poco. È nata intorno al 1430, appunto dalle parti del Caucaso, nel popolo dei Circassi, popolazione poco incline alle usanze civili e garbate, ma adorante la cultura del mondo della Natura (mare escluso).

Ser Piero ha diversi clienti fuori di Firenze: per cui, all’interno della Toscana, è spesso in viaggio, particolarmente verso il pisano. E capita più volte a Vinci, dove il bambino prodigio vive con la mamma e certi parenti dello zio. Non potendogli trasmettere altro, la mamma circassa, lo educa alla contemplazione e alla osservazione di campi, prati, fiumi, colline, monti, e tutte le specie animali e vegetali. Oltre a favolosi racconti delle montagne e dei paesaggi del suo mondo, quello di un popolo che allora doveva davvero sembrare vivere sull’ altra faccia della Luna.

E la testolina del bambino si riempie, se volete si ubriaca, intento in tutto ciò che offre quella Natura, e quei racconti di luoghi enormi e remotissimi. Neanche quindicenne è portato a Firenze da Ser Piero, che ha già capito, e forse visto alcuni dei suoi primissimi disegni.

Devono essere davvero assai belli, perché un reputato “notaro”, prima li mostra al Verrocchio, forse il Sole della vita artistica di Firenze in quegli anni (1460/80 ca), e ne ricava quasi subito, l’ingresso del ragazzino a bottega.

Personalmente, condivido l’entusiasmo dello scrittore. “Annunciazione di Verrocchio” 1472/3.

Certo, la sublime bellezza, pure se androgina, dell’Angelo, è già prova magistrale, per essere uscita fuori dalla mano di un ventenne. Ma quello che toglie il fiato è il tappeto erboso davanti, con una miriade di specie erbacee da sembrare un Dizionario di fiori e foglie sulla tera, realizzati con una cura e nitore verrebbe da dire mostruosa.

Non da meno i fondali. A parte la perfezione assoluta dei cipressi, sconvolgono le vette altissime e primordiali (I monti di Oriente raccontati dalla mamma, da bimbo?). Ai cui piedi si creano spazi forse pianeggianti, forse lacustri, dove la presenza di costruzioni umane, per l’epoca assolutamente di fantasia, ricchissima, è al contempo minuscola.

Verrebbe da dire, con Leopardi: “Così, in questa immensità, si annega il pensier mio…”, o le considerazioni del recanatese nella “Ginestra”, su cosa sia la terra rapportata all’Universo, e cosa sia l’essere umano, in rapporto al pianeta che lo ospita (dovrei dire, all’oggi, che lo subisce!).

Leonardo ventenne già dà le vertigini. Si potrebbe dire, senza sbagliare di molto, che la metà di sinistra della composizione appartiene quasi totalmente al ragazzo, e che la metà di destra, è di pertinenza del maturo capo bottega, pur con qualche “incursione” del giovane genio.

Altra cosa, assolutamente inconsueta, dei primi capitoli di questo libro. Certo, la Peste Nera, non ha solo falcidiato Firenze e la Toscana, ma quasi tutta Europa e… l’autore ci dice che a Firenze, torna la Schiavitù. Siamo tornati al Modo Pagano: schiavi belli e giovani, schiave belle e giovani, ben pagate, sopra a tutto le donne, per far figli e rimpolpare il tessuto sociale: formalismi cristiani a parte, salvata la facciata perbenista e civile, alla fine interessa solo fino a un certo punto, se sei figlio/a legittimo o illegittimo. Se mostri di valere, a Firenze, fai molta strada, e molti soldi, pure se nei documenti resti “Filium Naturalis”.

E pensate i soldi che hanno fatto i genovesi, per generazioni, diciamolo pure, con questo commercio di schiavi, dal Caucaso e Centro Asia.

La narrazione di Vecce mi ha incantato, e queste 576 pagine (poderosi apparati esclusi), mi sono risultate piacevolissime, a volte appassionanti. Naturalmente si parla di Leonardo, e la “soglia di accesso”, insomma, il “peso specifico” del testo, pur come biografia, è consistente. Basta entrare solo in sintonia con il linguaggio. Nessuno ha mai detto che guidare una Aston Martin, una Lamborghini, o una Ferrari sia facile… ci devi arrivare… portafoglio a parte. Devi imparare a gustartela e a farla gustare. E non è, affatto, cosa immediata.

Le sintesi dei capolavori sono sempre dense e fluide al contempo, non da addetti ai lavori. E le opere vengono quasi ridefinite al meglio, limitandosi ai tratti essenziali.

Ci sarebbe bisogno di almeno 5/6 articoli per restituire una corretta sintesi di questo testo stimolantissimo, a parere di chi scrive.

Vorrei chiudere, in sintesi con il quadro più chiacchierato degli ultimi anni, anche esso finito di nuovo nel mistero. Il “Salvator Mundi”. Sintesi più probabile: primi del 500, secondo periodo di Leonardo a Milano. L’ Anziano Re di Francia Luigi XII, grande estimatore del maestro, chiede una tavola di “Devozione Privata”, che appunto rappresenti Cristo. L’opera, di cui non si fa menzione in quegli anni, in nessun documento certo contemporaneo, dovrebbe datare 1508/10.

Ma ciò che è stato pagato a Christie’s da un miliardario arabo, poco meno di Mezzo Miliardo di Euro, secondo lo scrittore, pure dopo accuratissimi e maniacali restauri, diciamo che dovrebbe essere un lavoro in coppia, probabilmente con il migliore, a livello qualitativo, dei suoi allievi, Giovanni Antonio Boltraffio, artista di qualità altissima (non parliamo, attenzione di genio), sulla cui impostazione certamente Leonardo ha compiuto diversi interventi.

Diciamo allora, che ciò che si vede ha certo una “Aura” leonardesca, senza dubbio. Alcuni lo hanno definito “la versione al maschile della Monna Lisa”, In apparenza, sconcerta la frontalità della immagine, che rimanda indietro nel tempo: il maestro non ha mai amato la frontalità.

Ma, a un osservatore attento, non sfugge che la figura si muove in uno spazio, immoto certo: ma è, lessicalmente, “spaziata”. Certo, quel volto sfumato, ha veramente qualcosa di iperumano, all’estremo, e forse oltre la razza umana. E su quella espressione indecifrabile ci sarebbe da farci un libro.

Ultima cosa, riflessione personale, rapportata al Salvator Mundi.

Ipotesi di lavoro. Leonardo, primo 500… viaggio in Francia… si sapeva già del Lenzuolo della Sindone… arrivate voci da amici, cortigiani, clienti francesi?

Comunque è certo, la Sindone, a quel tempo è in Francia.

Forse ha potuto vederla? Ne ha avuto notizia/descrizione? Non sto dicendo che la immagine leonardesca sia sovrapponibile alle tracce sindoniche… ma ci trovo una “atmosfera” affine certo, ovviamente, nel solo volto.

Curiosità, se preferite mistero numismatico. Impero di Oriente, anni 685/695 D.C…. il leggendario “Mandilyon” di Edessa. Un tessuto con tracce di un corpo disteso. Di chi è? Molti Solidi in oro dell’Imperatore Giustiniano Secondo (Primo Regno), riportano, a vari livelli di incisore e ritratto, questo volto frontale, pare, approvato dall’Imperatore (sulla scorta di quali documenti o testimonianze?), del Salvatore. Proprio negli anni in cui il nascente Islam di è già annesso almeno metà dei territori di Costantinopoli. Oppure, in qualche prestigiosissima collezione privata, l’artista ha potuto vedere uno o più pezzi di questa preziosa quanto misteriosa moneta, per ispirarsi a questa “committenza segreta”?