I polimati artificiali sognano pecore elettriche?
Libro del mese
Tra le ultime novità dell’Intelligenza Artificiale, il progetto Polymathic AI, esplora la possibilità di applicare le tecniche dell’IA generativa, resa celebre da ChatGPT, all’unione di diversi campi del sapere scientifico. Dal greco polymathēs che si potrebbe tradurre con “molte conoscenze”, il termine polimata ha attecchito in molte lingue, stranamente non in italiano, dove, con meno efficacia, si preferisce ricorrere a locuzioni quali genio universale, eclettico o poliedrico.
Proprio così è tradotto nell’edizione italiana il libro di Peter Burke “Il genio universale. Una storia culturale da Leonardo Da Vinci a Susan Sontag” (Hoepli, 2023). Burke è stato a lungo professore di storia culturale a Cambridge, meglio è tra coloro che maggiormente hanno promosso l’approccio storico-culturale negli ultimi quarant’anni. Grande appassionato del Rinascimento italiano, da cui gli deriva l’interesse per la dimensione universale della conoscenza, prima di diventare professore a Cambridge ha lavorato all’inizio degli anni ’70 nell’università del Sussex, dove l’approccio multidisciplinare era un tratto distintivo. La “Storia sociale della conoscenza” (il Mulino, 2002) e il ruolo di “Espatriati ed esuli nella storia della conoscenza” (il Mulino, 2019) già avevano visto misurarsi Burke sulla ricostruzione storica della conoscenza che adesso vede in questo libro sui polimati un nuovo contributo, mentre in inglese è già uscito, in attesa di traduzione italiana, la “Storia globale dell’ignoranza”.
I polimati hanno rappresentato la norma dei sapienti nell’antichità, almeno fino al Medioevo. Era quello un mondo con un orizzonte di conoscenze molto più limitato e chi si dedicava allo studio lo faceva abitualmente in ogni campo disponibile. Vi erano naturalmente esempi straordinari di polimati, in grado di dominare in misura eccellente tutte le arti liberali e gli studi teologici come Tommaso d’Aquino, ma, anche senza raggiungere quei livelli, chiunque studiasse si dedicava al trivio e al quadrivio, senza settorializzare la propria conoscenza a un’unica disciplina.
Come si è arrivati alla situazione attuale in cui, secondo Burke, i polimati sono in via d’estinzione, al punto che tra i viventi ve ne sarebbero ben pochi oltre Jared Diamond, l’autore di “Armi, acciaio e malattie” (Einaudi, 1197), esperto di fisiologia ornitologia, geografia e storia comparata – e, in ogni caso, nati tutti prima degli anni ’50 – come si evince dall’elenco di 500 nominativi che compare al termine del libro di Burke?
La storia dei polimati tracciata da Burke è caratterizzata da almeno tre crisi del sapere a partire dalla fine del Medioevo. La prima è emersa nel XVII secolo, quando si è iniziato a produrre un numero sempre maggiore di libri stampati. La seconda è emersa nel XIX secolo con la proliferazione di giornali, riviste e il costo più basso della stampa. La terza è quella che stiamo vivendo oggi, in risposta al digitale e all’era dell’informazione. Queste crisi sono legate a rivoluzioni nella comunicazione con salti quantitativi drammatici che portano a un sovraccarico di informazione.
Dopo il Rinascimento, caratterizzato dall’uomo universale, come Pico della Mirandola o Leonardo, esempio raro di polimata autodidatta pratico al di fuori dall’accademia, nel XVII secolo, l’epoca d’oro dei polimati, la figura del polimata raggiunse una grande popolarità, e, nonostante l’esplosione delle conoscenze (rivoluzione scientifica, esplorazioni geografiche, uso del microscopio e del telescopio) e la loro diffusione attraverso le reti postali, era ancora possibile mantenere un equilibrio tra i saperi in rapida espansione e diffusione e la loro acquisizione: vi erano polimati ancora in grado di contribuire a molte discipline diverse, veri e propri mostri di erudizione come Leibniz. Dall’Illuminismo diventò sempre più difficile: l’Enciclopedia fu un tentativo di riunire i saperi per metterli a disposizione di aspiranti polimati, tra cui anche le prime donne, ma per lo più in forma passiva di acquisizione delle conoscenze. L’esplosione della specializzazione, iniziata con la medicina e proseguita negli altri settori di conoscenza, iniziò a creare mura tra le discipline, territorialità del sapere, riducendo la diffusione del sapere generale e instillando un senso di diffidenza nei confronti di chi provava a valicare quei limiti.
Con il XIX secolo si affermò ulteriormente la specializzazione e la suddivisione del sapere in discipline separate, in particolare subentrò la distinzione tra le “due culture” delle scienze umane e naturali. Le volpi che si dedicano a più campi del sapere cedettero sempre più il passo ai ricci concentrati in un unico settore. Le università si suddivisero in numerosi dipartimenti, al punto che l’eccessiva frammentazione incontrò tentativi di resistenza con l’istituzione di programmi interdisciplinari, consolidatisi nel XX secolo, dapprima a livello informale, poi istituzionalizzato: la polimatia divenne essa stessa una specializzazione. Nonostante ciò, sempre meno polimati riuscivano a formarsi, spesso ricordati solo per una piccola parte delle loro realizzazioni, come accade per Thomas Young, passato alla storia per gli studi sulla luce, ma altrettanto valente nella meccanica dei solidi, e per i suoi contributi alla fisiologia e all’egittologia. Parallelamente si diffuse un approccio superficiale che spaziava attraverso molte discipline, la tuttologia in senso negativo, incarnata da ciarlatani che millantavano più di quanto potessero realmente offrire in termini di conoscenza e di cui sembra popolarsi copiosamente il XXI secolo.
Da un punto di vista psicologico i polimati sono persone caratterizzate da una grande curiosità, lavorano intensamente, hanno una buona memoria e una forte capacità di concentrazione. Sono dotati di un’immaginazione sopra la media (che trova spesso espressione nella poesia o nell’arte) che consente loro di vedere analogie tra problemi e soluzioni in diverse discipline. Un pericolo che corrono è la cosiddetta “sindrome di Leonardo”, ovvero lasciare progetti incompiuti perché un’altra idea o un altro approccio sembrano ai loro occhi improvvisamente e irresistibilmente più accattivanti.
Dal XIX secolo in poi, i polimati possono essere suddivisi in almeno quattro tipi principali: il polimata passivo conosce molte cose ma non contribuisce alla conoscenza in nessun campo (è il caso di Aldous Huxley o Jorge Luis Borges, curiosi su diversi fronti, ma in grado di contribuire significativamente solo in campo letterario); il polimata cluster domina alcune discipline correlate tra loro, senza allontanarsi troppo tra campi di sapere (come Linus Pauling che ha contribuito in modo significativo alla fisica, alla chimica e alla biologia); il polimata seriale, forse il più interessante tra tutti, poiché migra da una disciplina all’altra, notando analogie o connessioni inaspettate tra discipline diverse (un esempio è Vilfredo Pareto, passato dall’ingegneria alla sociologia e all’economia); il critico culturale, sorta di polimata di professione, che scrive regolarmente su una varietà di argomenti per periodici culturali (come Umberto Eco o Susan Sontag).
Nell’era digitale, il problema dell’informazione in eccesso è più grave che mai. L’esplosione delle informazioni si è verificata su una scala spettacolare, senza precedenti, e il mondo avrebbe estremo bisogno di polimati in grado di elaborare tutte queste informazioni in conoscenza. Tuttavia, il loro tradizionale habitat sociale sta scomparendo: le biblioteche che in passato furono luogo di incontro, ma anche vere e proprie fonti di lavoro per i polimati, sono diventate meno accoglienti, così come i musei che ormai prediligono visitatori in modalità nastro trasportatore; le università hanno meno spazio per generalisti e le riviste culturali di carattere universale stanno perdendo lettori. Il flusso di informazioni è diventato così veloce da rendere difficile il loro adeguato processamento in conoscenza, poiché manca il tempo per analizzare, verificare e classificare le informazioni. Tuttavia, le macchine e gli algoritmi possono essere utilizzati per analizzare grandi quantità di dati e selezionare le informazioni rilevanti, offrendo una possibile soluzione. L’impressione è che, anche con l’ausilio dei sistemi artificiali, a dominare sia da un lato la iper-specializzazione, dall’altro una diffusa superficialità delle conoscenze. Ma è un’epoca ai suoi albori e risulta difficile allo stato attuale individuarne caratteristiche strutturali, così come in rapida trasformazione è l’uso delle tecnologie della conoscenza il cui ruolo è fondamentale per tracciare il profilo del polimata 4.0.
Se un tempo si insegnava la lettura veloce per passare in rapida rassegna grandi quantità di testi a stampa, adesso servirebbero corsi di lettura lenta e approfondita, dal momento che sempre più persone scansionano rapidamente il testo online alla ricerca di informazioni specifiche invece di leggere attentamente da cima a fondo. Altri rimedi messi in campo per combattere l’iper-specializzazione consistono nella creazione di istituti di studi avanzati o corsi universitari che riuniscono studiosi di diverse discipline, sulla scia di Francoforte, Princeton o Palo Alto; la creazione di team interdisciplinari come ormai si assiste in molti campi di ricerca; una riforma dell’istruzione superiore che permetta agli studenti di combinare studi specializzati con una visione più ampia della conoscenza.
La fine dei polimati è stata annunciata ripetutamente nel corso dei secoli con libri dedicati all’ultimo uomo che sapeva tutto, regolarmente smentiti dall’evoluzione successiva delle conoscenze. Chissà se i polimati come entità individuali siano veramente destinati all’estinzione o saranno rimpiazzati da figure diverse, ancora da riconoscere e codificare, che al posto del trattenimento dell’informazione basino la propria conoscenza sulla sua gestione con l’ausilio delle tecnologie? O se dovremo abituarci alla nascita di polimati artificiali che nel sonno della ragione sogneranno pecore elettriche?