Da un mondo mediano
Dice il saggio
Sono tornato al mio paese abbandonato
dal quale fui lontano otto anni
Ma chi chiamare?
Con chi dividere la triste gioia
di essere ancora vivo?
Nessuno qui mi conosce
e mi ha dimenticato da tempo chi mi ricordava
S. Esenin
In ogni cosa viva
c’è un’impronta segnata a fondo
dalla prima infanzia
S. Esenin
La magia, l’astrologia, l’alchimia e la mistica neoplatonica varcano la soglia di quella casa comune che è la cultura del Moderno proprio attraverso la nascita della scienza moderna. Keplero e Copernico erano anche astrologi, così come anche maghi furono Bruno e Campanella. La stessa rinascenza umanistica aveva ripreso molto più l’ermetismo che l’antichità classica.
Come, cinquant’anni fa, già Giorgio Agamben ebbe a segnalare in Infanzia e storia, è solo perché l’astrologia e l’alchimia avevano stretto insieme il “cielo” dell’Intelligenza e la “terra” dell’esperienza individuale e la mistica neoplatonica ed ermetica aveva annullato la separazione aristotelica di noūs e psyché, solo per questo, che la nuova scienza moderna poté porre a proprio fondamento un soggetto unico, quell’ego sostantivato che riuniva in sé l’Intelletto separato e il soggetto dell’esperienza e che avrebbe sostituito l’anima della psicologia cristiana e il noūs della metafisica greca.
Individuo questa questione come centrale nel libro di Carla Stroppa, soprattutto nelle pagine in cui essa emerge in modo tale da poter essere posta nei termini più rigorosi: una critica della Magia (e dell’astrologia) non può che implicare anche una critica della scienza.
Ma è naturalmente uno soltanto dei molteplici temi che Carla Stroppa come sempre lascia emergere dalla sua scrittura, e nelle dense pagine di questo suo ultimo lavoro essi si incrociano in percorsi lineari quanto chiaramente labirintici.
Il mio dialogare con il pensiero di Carla Stroppa (attraverso libri, seminari, dialoghi) e la lettura dei suoi testi sono per me ogni volta esperienza di reticolo e lampeggìo, di rimando e individuazione, di sonda e avanzamento. L’abitare la soglia, il ritorno a casa, o il tornare dell’immagine della casa (la “medesima casa” dell’anima e del cervello, il ritorno alla “casa del Sé”, come già nelle primissime pagine di questo libro), l’essere fuori-posto, i fantasmi all’opera, l’illusione: ritornano e si affacciano i temi di altri lavori di Carla Stroppa, insieme a quello su cui negli ultimi tempi ci confrontiamo con passione e grande vicinanza: il dis-sentire.
Ma qui ho iniziato proprio con la questione della magia, così presente già nel titolo e nel sottotitolo del libro. Continuo dunque con il genitivo presente nel titolo. Un genitivo soggettivo o oggettivo? O entrambi? La magia che è propria del ritorno o il ritorno come oggetto di magia? Qui “magia” per Carla Stroppa (la cui analisi del racconto di Baum è, per me, in tutto solidale con la questione magia/scienza moderna da cui siamo partiti) è un nome par parlare di un particolare quanto preciso mondo ‘mediano’: un “mondo intermedio, a dire quello spazio psichico di continua transizione tra sensibile e intelligibile, immaginazione e realtà” – spazio intermedio dell’anima è, per Henri Corbin, il “magico” – e, scrive ancora Stroppa, “il mondo intermedio, ossia il mondo simbolico”.
Questo mondo intermedio è, come Carla e io abbiamo indagato in altri nostri lavori, il mondo del Gioco, dove realtà e irrealtà trapassano una nell’altra, e dello Pseudos. Quest’ultimo può significare sia “menzogna” che “falsità”, o anche “inganno” e “frode”, così come “invenzione poetica”. È proprio nella complessa dimensione dello pseudologico che si è alle prese con lo sfuggente, reciproco attraversamento di reale e irreale, con lo spostamento ripetuto dei confini tra realtà e apparenza, con incursioni a sorpresa tra il visibile e l’invisibile, e dunque con il mondo del Meraviglioso.
Un mondo mediano fatto di cielo e di terra, carico di sostanze leggere e volatili, abitato da esseri umani e da spiriti, a volte anche da esseri bizzarri caduti dal cielo ma solo perché erano lì sospesi su una mongolfiera.
Alba e crepuscolo insieme, a farsi interprete di questo mondo è Hermes, messaggero ma anche ladro, bugiardo e truffatore (come lo Pseudos). Dio intermedio e sempre transitorio, instabile, Hermes è seduttore in quanto attrae, svia, allontana e confonde. Dio delle soglie, dei margini e dei limiti, non è inflessibile e non è autoritario, bensì giocoso e, unico nel suo genere, non è violento.
Hermes è l’omologo greco del dio egizio Theuth. Nella Farmacia di Platone Derrida parla di Theuth come archetipo di Hermes: “egli non si lascia assegnare un posto fisso nel gioco delle differenze. Astuto, inafferrabile, mascherato, cospiratore, buffone, come Hermes, non è un re né un servo; una specie di joker piuttosto, un significante disponibile, una carta neutra, che dà il gioco al gioco (…) È il dio delle formule magiche che pacificano il mare” (il corsivo è mio).
È infatti Hermes ad essere evocato da Carla Stroppa e ad aleggiare in queste pagine, anche nelle sembianze parodiche del mago/illusionista di Oz: “Mitologicamente il mago è un figlio del dio greco Hermes, il più imprendibile, contraddittorio e inventivo fra gli dèi. Il mito lo evoca come dio della magia nel bene e nel male è il grande mentitore capace di inganni distruttivi o sublimi. Illusionista per antonomasia, grande conoscitore di passaggi segreti, custode di tutte le soglie e delle analogie di senso Hermes si colloca all’origine dell’arte e della poesia che si manifestano sempre sulla soglia tra realtà e finzione. Il Mago di Oz è una sua umile e grottesca raffigurazione”.
È estremamente significativo che Carla Stroppa evochi Hermes proprio nella pagina in cui sta parlando del “meraviglioso” e del fare ritorno a casa, del ritorno a Sé. Ricordiamo qui la sottile ma decisiva differenza tra i significati di “meraviglia” e “stupore”: la meraviglia è una reazione improntata a incredulità, mentre lo stupore è uno stato d’animo provocato da qualcosa di inatteso che lascia increduli e disorientati. Stupore è anche arresto della motilità volontaria, associato a torpore dell’attività ideativa e a distacco dalla realtà esterna. Così, meraviglia fa riferimento al sorprendente, al mirabile e al prodigio, mentre stupore indica sbalordimento e torpore, assenza di capacità ricettiva, quindi stupidità e insensatezza.
“Meraviglioso” è proprio l’aggettivo sparito come d’incanto nelle numerose edizioni e successive trasposizioni ma presente nel titolo originario della fiaba di Baum Il meraviglioso Mago di Oz, aggettivo che Carla Stroppa riporta in primo piano chiamandoci ad interpretare come kairòs da cogliere il fare ritorno a casa e ad esperire, di quel ritorno, la vera e autentica magia.