La caduta

Storia

Vercelli

Claudio Vercelli
La battaglia di Berlino
Capricorno, 2025, pp. 160
€ 14

16 Aprile 1945. Ultimo concerto, in una atmosfera da incubo, dell’orchestra Berliner Philharmoniker: l’accerchiamento degli oltre 2 milioni di soldati russi, è compiuto.

Sta per iniziare, il Gran Finale. Appunto la battaglia di Berlino, che si concluderà con la resa senza condizioni, il giorno 8 Maggio.

Il programma del concerto, ovviamente tutto tedesco, prende avvio con il grande assolo finale del “Crepuscolo degli dei”, la cosiddetta scena della Immolazione di Brunnhilde, quanto mai in tono con il clima di catastrofe di quei giorni. Si prosegue con il Concerto per violino di Beethoven, opera 61, e si chiude con la Quarta sinfonia di Bruckner “La Romantica”.

Anche davanti all’abisso, sempre “Deutschland uber Alles”, la Germania davanti a tutto e tutti, pure polverizzata. Ciò che resta della Gioventù hitleriana offre ai presenti capsule di cianuro, a fine concerto. Molti le useranno.

Il libro di Claudio Vercelli, appunto “La Battaglia di Berlino”, per i tipi di Capricorno Editore, racconta con ricchezza di dati e bella fluidità narrativa, queste settimane finali della Seconda Guerra Mondiale. Per ciò che riguarda gli assedianti, i Russi, emerge la volontà ai limiti della inumanità, del comandante in capo, Zuckov, di voler chiudere la partita, grazie anche a un rapporto, aggressore aggredito, di 1 (tedeschi), a 6 (russi).

I soldati di Stalin sono sottoposti a un tour de force veramente da incubo, e, pur numericamente schiaccianti, se la devono vedere con migliaia di singoli episodi, di una resistenza tanto disperata quanto forsennata, al punto che è corretto parlare, in questo caso, di una Seconda Stalingrado, ovviamente a parti invertite.

Certo, la Luftwaffe, la aviazione di Goring, è ridotta ai minimi termini (era già molto mal messa nello sbarco in Normandia, un anno prima). Ma, i Panzerfaust, 30, 60 e 100, una sorta di bazooka a singolo proiettile, molto spesso nelle mani di adolescenti invasati, fanno fuori oltre duemila mezzi corazzati sovietici (e divengono incubo nell’incubo).

Colpisce anche la crudele indifferenza dei generali di Mosca, di fronte agli oltre trecentomila tra morti e feriti tra la truppa. Mi viene in mente, di nuovo a parti capovolte, la “logica” disperata della Pace di Brest Litovsk 1917 Fronte Orientale. I tedeschi hanno vinto, l’esercito zarista è devastato dalle diserzioni, preparatorie alla Rivoluzione. E Lenin impone ai generali una resa che i comandi tedeschi impongono, davvero feroce e economicamente devastante ma a qualunque condizione, feroce che sia, da firmarsi comunque. Basta uscire dalla guerra, anche umiliati e miserabili. E con la guerra in casa, per altri 5/6 anni.

Ora la stessa ferocia, appunto, a parti inverse.

Eppure, come ben si vede nel film “La Caduta”, con uno splendido Bruno Ganz/Adolf Hitler, la devozione esaltata, fino e oltre alla morte, continua a regnare in gran parte di ciò che resta della Wermacht. Come dicono le SS “non possiamo sopravvivere al nostro fuhrer”, un secondo dopo che ci dicono che si è ucciso, moltissimi si uccidono. Tra i giovani e gli adolescenti, la presa, di questa ideologia delirante, in questo ultimo atto, li trasforma in giovani mostri.

Ovviamente, i sopravvissuti, avranno una esistenza dilaniata psichicamente…e quali incubi!

Dal ricchissimo Junker, industriale alto borghese o nobile (ricordate “La Caduta degli Dei” di Visconti?), fino al semplice uomo della strada, che ha scelto il “metodo dello Struzzo”, subire e tacere, salvo sfogarsi nel privato, in un qualche modo ci sono due generazioni di individui “con colpa”, anche fosse indiretta, involontaria.

Questo mostruoso e gigantesco Profeta della tragedia, nel film arriva a dire che proprio nella prova più estrema, il popolo tedesco ha meritato la catastrofe, lo ha tradito, non lo ha meritato, perché non lo ha capito. O peggio, non lo ha voluto capire.

E, sotto sotto questo dna teutonico, che riaffiora sempre: nel bene come nel male, la Germania davanti a tutti: fosse pure la porta dell’Abisso, sempre primi.

Per fortuna l’Abisso si spegne la notte dell’8 Maggio 1945.

Diciotto giorni dopo, la Filarmonica di Berlino (che ha perso diversi elementi, fortunatamente rimpiazzati), diretta dal Maestro Borchard (guarda il caso, nato da genitori tedeschi in Russia a fine 800, e educato musicalmente in Russia. Radiato dalla attività pubblica da Hitler, con provvedimento del 1935, l’anno delle tremende Leggi di Norimberga), esegue un primo concerto che, come si dice “parla da solo”: Mendellsohn “Ouverture Sogno di una notte di mezza estate”, Mozart “Concerto per violino K. 219”, Tchaikovsky Quarta Sinfonia.

Un Ebreo, un Austriaco, un Russo… e la speranza di nuovi orizzonti di umanità.