Il lato oscuro del green

Dice il saggio

Galdo

Antonio Galdo
Il mito infranto
Codice edizioni, 2025, pp. 192
€ 19

Antonio Galdo, giornalista e scrittore con una lunga esperienza nell’analisi delle questioni ambientali e sociali, torna a interrogarsi sul significato autentico della sostenibilità nel suo ultimo libro, Il mito infranto. Pubblicato nel 2025 da Codice Edizioni, questo saggio di poco meno di duecento pagine rappresenta un’acuta critica alla deriva contemporanea del concetto di sostenibilità, ormai svuotato della sua carica etica e trasformato in uno strumento di marketing e divisione sociale.

L’analisi di Galdo si sviluppa intorno a un’idea chiave: la sostenibilità, così come viene applicata oggi, ha perso la sua funzione originaria di riduzione delle disuguaglianze e tutela ambientale, diventando invece un segno distintivo di status sociale. Attraverso esempi concreti che spaziano dal mercato delle auto elettriche alla moda eco-friendly, dall’alimentazione biologica alle energie rinnovabili, l’autore dimostra come i prodotti e i servizi contrassegnati dall’etichetta green siano diventati un lusso accessibile solo a una ristretta élite.

«Un’élite di donne e uomini ha conquistato lo status di consumatori verdi, mentre la maggioranza annaspa per non rinunciare al proprio tenore di vita» scrive Galdo, evidenziando il divario crescente tra chi può permettersi di vivere in modo sostenibile e chi invece, per necessità economiche, è costretto a scegliere opzioni più inquinanti e meno salubri.

L’autore denuncia la falsità del cosiddetto green capitalism, un modello economico che, pur proclamando la propria sostenibilità, continua a perpetuare le stesse logiche di sfruttamento e disuguaglianza che caratterizzano il capitalismo tradizionale. Le aziende, spiega Galdo, adottano pratiche di greenwashing per migliorare la propria immagine senza modificare realmente i propri processi produttivi. Il risultato? Un sistema in cui il consumismo viene travestito da sostenibilità, con l’unico scopo di incentivare ulteriori acquisti piuttosto che un autentico cambiamento verso modelli di vita più equilibrati.

Uno degli esempi più eclatanti è quello della moda sostenibile: molti brand si fregiano di certificazioni green, ma in realtà continuano a produrre capi destinati a una vita breve, contribuendo all’inquinamento e allo sfruttamento del lavoro nei paesi in via di sviluppo. Similmente, il mercato delle auto elettriche viene esaltato come una svolta ecologica, quando in realtà la loro produzione è altamente inquinante e il loro costo le rende accessibili solo a una minoranza privilegiata.

Nel corso della sua analisi, Galdo si sofferma sui 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, mostrando come molti di essi siano ben lontani dall’essere raggiunti. Anzi, sostiene l’autore, le attuali politiche ambientali sembrano aver tradito proprio gli ideali di inclusione e giustizia sociale su cui l’Agenda si fonda. La crescente divaricazione tra chi può permettersi di adottare uno stile di vita sostenibile e chi no è il segnale più evidente di questo tradimento. L’autore evidenzia come le nazioni più povere stiano pagando il prezzo delle scelte ambientali dei paesi industrializzati, che utilizzano il concetto di sostenibilità per perpetuare un nuovo colonialismo economico.

Galdo sfata alcuni dei miti più diffusi sulla sostenibilità: dallo spazzolino in bambù, che richiede un consumo energetico superiore a quello dei tradizionali spazzolini in plastica, ai monopattini elettrici, che inquinano più delle auto quando si considerano i loro cicli di produzione e smaltimento. Allo stesso modo, la carne sintetica viene presentata come una soluzione rivoluzionaria, ma la sua produzione è sostenuta da colossi finanziari che ne fanno un’opportunità di speculazione più che un vero rimedio alla crisi alimentare.

Ma c’è una via d’uscita? Galdo individua due elementi chiave per invertire la rotta: i nostri stili di vita e la riconquista del primato della politica sulla tecno-finanza. Se da un lato i consumatori possono adottare scelte più consapevoli, evitando di cadere nelle trappole del greenwashing, dall’altro è fondamentale che la politica riprenda il controllo dei processi decisionali per evitare che la sostenibilità resti un privilegio per pochi. In particolare, l’autore critica le Conferenze internazionali sul clima, ormai dominate dai lobbisti delle energie fossili, e propone di sospenderle fino a quando non vi sarà un accordo concreto e vincolante sulle misure da adottare. Inoltre, propone una visione della sostenibilità che non sia solo ambientale, ma anche sociale, capace di garantire diritti e accesso equo alle risorse per tutti.