Una voce che viaggia alla velocità delle tenebre

La nostra interiorità è uno spazio architettonico articolato e complesso. Dal primo all’ultimo istante ci accompagna la consapevolezza primigenia che esista un interno e un esterno, un dentro e un fuori di noi. Percepiamo il nostro corpo come soglia, ingresso, diaframma permeabile attraverso il quale il mondo filtra a fiotti, precipita verso l’interno, a grappoli, in un rosario interminabile di materiali sensoriali multiformi e variopinti da sgranare e ordinare senza sosta, da processare continuamente per costruire conoscenze esperienze sentimenti. “Teatro” – di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti, prod. ERT Teatro Nazionale – prende avvio nello spazio ibrido e liminale per eccellenza, nel foyer, per noi quello del Teatro Cantiere Florida di Firenze. Qui un piccolo gruppo di spettatori indossa delle cuffie luminose, che ci permettono di entrare in contatto condiviso, ma anche intimo esclusivo profondo, con la voce intensamente autorevole di Roberta. È il suo timbro morbido che ci accompagna in un percorso dinamico attraverso adiacenze uffici sotterranei camerini piccionaia quinte palco platea giardino. Ogni spazio disponibile viene attraversato e risignificato dall’azione teatrale. Ci sono delle soste, qualche volta siamo seduti su sedie o poltrone, ma più spesso ci troviamo in piedi, ci muoviamo in fila e se ci fermiamo siamo disposti in cerchio, oppure in disordine, chi sulla soglia chi dentro la stanza. Spesso Roberta non ci parla guardandoci negli occhi ed è proprio quando vediamo soltanto spalle schiena e profilo che il meccanismo di identificazione si fa più forte e vivido, amplificato dall’accesso privato ed esclusivo che la sua voce ha alla nostra attenzione. È lei la parola che guida, socchiude porte, accosta e dischiude tendaggi. E non potrebbe essere altrimenti perché ciò che ci consente di percepire la nostra vita interiore è proprio quel brusio di alveare eternamente ronzante che chiamiamo pensiero. La legione di api operaie non conosce fatica, e a poco vale interpellare con nomi diversi, siano essi cervello spirito o intelletto, questa entità inarrestabile, chiedendole di tacere. Penso dunque sono: il silenzio è incompatibile con l’esistere. Roberta ci confessa che solo quando scrive trova pace e ristoro da questo incessante rumore di fondo. Già, perché solo quando si fa parola, scritta o detta che sia, il pensiero è in grado di rivelare qualcosa della nostra interiorità, altrimenti invisibile e inaccessibile a chiunque, e di darle una forma comunicabile e fruibile. Siamo condotti per voce da un’attrice che interpreta se stessa ed il teatro che viviamo con lei e in lei si configura a tutti gli effetti come una discesa nel Sé. La donna che ci parla si fa conoscere, si rivela, ci rende partecipi, si mette in scena nel senso più aurorale del termine. E noi prendiamo in carico la sua persona, la sua voce, il suo racconto, seguendola docilmente all’interno del teatro, il luogo nel quale abita il suo daimon e al quale ha affidato la propria identità profonda, il nocciolo più vero dell’essenza. Ogni spazio fisico che percorriamo insieme è il correlativo oggettivo di una dimensione interiore. Camminiamo attraverso la memoria ed i suoi abitanti, le paure, i traumi, le fragilità, i cambiamenti, le sfumature del temperamento, l’idea della morte. In questo testo che è una chiave fatta di parole si sentono spesso serrature cigolare, tintinnamenti metallici, a volte l’accesso al Sé è talmente diretto e audace da commuovere nel profondo anche noi. Roberta si fa spazio con il corpo e con la parola, con uno sguardo luminoso, acuminato come un pungiglione. Una scrittura di qualità sempre sostenuta, potente e percussiva, mai retorica, senza eccessi o sbavature, sostanzia questo esperimento ambizioso e concettualmente sofisticato, che senza esitazioni persegue obiettivi anche teorici di non piccolo momento. “Teatro” si offre come un testo attivo, performativo e in definitiva immersivo, imponendo al fruitore un autentico pellegrinaggio, ma è anche un testo fortemente programmatico – lo è in maniera esplicita fin dalla scelta del titolo – è una riflessione sulla natura stessa del teatro come luogo del possibile e del fare teatro come vocazione artistica rilevante da un punto di vista oggettivo, autobiografico, esistenziale. Ai nostri occhi è sembrato dipanarsi quasi come un manifesto della poetica autoriale e attoriale del duo Cuocolo Bosetti, che negli ultimi anni ha peraltro già felicemente sperimentato l’utilizzo delle cuffie in altre produzioni. Quando Roberta infine ci accompagna in giardino per poi allontanarsi da noi sentiamo uno iato aprirsi e ampliarsi progressivamente, la sua voce si fa sempre più rarefatta e distorta, l’angolo tra teatro e quotidianità diventa sempre più ottuso. Il contatto è stato sinora talmente intimo che la fine della magia, il rompersi dell’incanto, il ritorno a se stessi risulta particolarmente lento e straniante. Per diversi minuti rimane nell’aria e nelle attese il desiderio che quella voce all’improvviso riprenda ad esistere e che ci parli ancora.




