Quando l’arte da voce alla Parola
Intervista all'artista Marcello Silvestri
Qualche tempo fa è arrivato in redazione un libro – Sapienza antica arte contemporanea – accompagnato da una richiesta di recensione. Vista la particolarità dell’opera e la sensibilità che sentivo scaturire da quelle pagine ho preferito intervistare l’autore, non tanto delle pagine scritte, ma delle opere illustrate al suo interno. Non mi ero sbagliata.
Marcello Silvestri è un artista, pittore e scultore italiano di fama internazionale. Originario di Verona (1945), ha trovato nei terreni collinosi di Tarquinia – dove risiede – un habitat congeniale alla creazione, con i molteplici materiali e colori della Maremma, delle sue opere. Nel volume sono riportate molte delle sue produzioni e tutte, pagina dopo pagina, capaci di un’attrazione – grazie alle forme, ai colori, ai materiali, al senso che da esse traspira – senza pari.
Marcello, quando si è scoperto pittore e ha fatto della pittura la sua attività? C’è stato un evento, una circostanza che ha fatto scattare in lei il desiderio e la decisione di dedicarsi all’arte?
Per dire di questa passione devo ripercorre i sentieri dell’infanzia. L’ultima guerra ha lasciato solo miseria, che è una parola diversa dalla povertà! Che io ricordi, ho sempre avuto attrazione per il colore e la musica. In quegli anni difficili del dopoguerra, i libri di scuola elementare erano illustrati da poche immagini, tutte monocromatiche: rosse o blu, come la matita che usavano le maestre per correggere i compiti. Avevano più fascino su di me i coloratissimi “santini” che il prete ci donava al termine della confessione, dopo averci inculcato sensi di colpa… Ma valeva la pena di sottoporsi a questo rito per ottenere, alla fine, il colorato “santino”!
La mia vocazione artistica è poi maturata in vari stadi, passando dalla formazione in teologia e comunicazione presso la congregazione di San Paolo, il volontariato presso la Repubblica dei Ragazzi, la scoperta del movimento ecumenico, il confronto con le inquietudini e le contraddizioni del mondo contemporaneo, l’emarginazione, la pena di morte, la guerra. Ognuna di queste esperienze mi ha scosso aggiungendo un tassello al messaggio, alla palette e alle tecniche delle mie opere, che includono quadri a olio, disegni in sanguigna, murales, incisioni, sculture in pietra, oro, ferro battuto, ceramica, audiovisivi, tavole con materiali di recupero.
Qual è la principale differenza stilistica tra le sue prime opere e quelle più recenti? Qual è stata la sua evoluzione anche in termini dei materiali scelti ed utilizzati?
La prima produzione era figurativa, quasi classico-naif; la vedo adesso come una compiaciuta narrativa illustrativa, lavorata con i canoni di fine Ottocento e prima metà del Novecento: impressionista – espressionista. Un’evoluzione (o meglio una rivoluzione) è avvenuta attraverso i contatti ecumenici che mia moglie Margherita mi ha fatto avere in occasione dei convegni estivi del Segretariato Attività Ecumeniche (Sae), al passo della Mendola prima e poi in altre sedi: con la fondatrice del Sae Maria Vingiani, i pastori protestanti Renzo Bertalot, Paolo Ricca, Anna Maffei, Massimo Aprile e Luca Maria Negro, i vescovi cattolici Alberto Ablondi e Pietro Giachetti e preti ortodossi come Giorgio Vasilescu, Traian Valdman e altri di cui non ricordo il nome.
Lì mi è sembrato che la Bibbia, tanto citata nei miei anni di studio della teologia, mi fosse esplosa nella mente con nuove significanze e nuovi valori, mai percepiti prima. I personaggi biblici, Gesù compreso, non erano più una narrazione del passato, pitture o sculture in pietra, bronzo, gesso, plastica da realizzare, o esposte in ogni dove, ma persone viventi in carne e sangue, vive nella parola detta dalla contemporaneità di ogni nuova generazione.
Nella sua ultima pubblicazione – Sapienza antica arte contemporanea – la Parola è la sua fonte di ispirazione, che rapporto ha Marcello con i testi sacri?
Ecco, le cose di prima sono passate e ne sono nate di nuove (cfr. Isaia 42,9 e Apocalisse 21,4)! Adesso la Bibbia per me non è più una semplice narrazione storica. È una Parola viva, da ascoltare e da vivere. Credo che il senso giusto della nostra esistenza sia di accogliere e cantare, nel tempo della nostra vita, la misericordia e l’amore che l’Eterno ha per le sue creature.
La immagino profondo conoscitore delle Sacre scritture e la vedo assorto nella lettura per essere poi colto dall’urgenza di dare forma e colore a quelle parole, cosa la ispira, cosa avviene dentro di lei nel momento in cui decide di realizzare un’opera?
Non sono un profondo conoscitore delle Sacre Scritture, ma sono un appassionato. Quotidianamente, leggo, medito, studio confrontandomi con biblisti, teologi, liturgisti ed esperti di comunicazione e di pastorale e anche e soprattutto con la gente comune. Il valore contemporaneo dei testi, nella lettura, è così forte, che alcuni di essi mi emozionano e divengono energia creativa. È, questo, un passaggio difficile, perché bisogna assecondare l’energia e nel contempo gestirla. Fermo con il disegno, come posso, l’ispirazione e poi entrerà in gioco il “mestiere” per portare a termine l’opera con materiali e grammatiche del nostro tempo. Così viene rivitalizzato un testo: la lettura produce un’emozione da cui scaturiscono nuove energie creative che si trasformano in materia, colore, architettura degli spazi. La scoperta di una visione ecumenica del cristianesimo, poi, mi ha allargato gli orizzonti e ha reso ancora più viva la Parola, che deve essere accessibile a tutti.
In qualche modo è come se la parola parlasse attraverso un’altra lingua, quella dell’arte…
Sì, è proprio così. Credo questo sia particolarmente importante in quest’epoca e cultura dell’immagine, in cui la Parola scritta, in bianco e nero e associata a rigidi precetti, non attrae più, non riesce a comunicare alle nuove generazioni. Si sono allontanate dalla religione, ma forse questo è dovuto al fatto che non si usino linguaggi adeguati a parlare di fede. Nei campi scuola e nei laboratori di arte e fede che ho tenuto negli anni, tra giovani, in carcere e in comunità di recupero, ho scoperto che in realtà c’è sete di spiritualità e l’arte riesce a fare questo salto comunicativo.
Qual è l’intento che si pone, lo scopo della sua arte?
Non so esattamente: provo affetto per i testi sacri e forse questo basta? È questo profondo affetto che cerco di trasmettere. Affido ai colori e alla materia il mio stupore verso il creato e verso l’inaspettato della vita per avvicinare l’animo umano all’intangibile bellezza e completezza di Dio che sono espressi nelle sacre scritture.
Cos’è per lei e come vive la fede?
Mi chiede una cosa difficile! So di certo che non è quel sorriso stereotipato che sembra di cogliere in molti quando parlano di fede nelle interviste televisive. Per me fede è spesso dramma, fatica, dubbio, talvolta radicale; la fede a volte si identifica con la speranza nonostante tutto.
I richiami alla musica e gli elementi musicali sono spesso presenti nelle sue opere. È anche musicista (spesso si è artisti in più discipline)? Ascolta musica mentre lavora alle sue creazioni?
La musica? Anche qui sono un appassionato. Fin dalla fanciullezza quando, di nascosto, salivo sui platani che recintavano una balera all’aperto, dove sul palco in cemento suonavano una fisarmonica, un violino, una chitarra – non amplificati, come ora – provavo una forte emozione a quell’ascolto ed ero incredibilmente attratto dalla magia di quei suoni. Il tutto in contraddizione con la “peccaminosa” balera! Quando ero animatore alla Repubblica dei Ragazzi avevo messo su un complessino… Ho anche suonato per molti anni la chitarra e il basso in centri per anziani. Il gruppo si chiamava “I cuccioli”, e il più giovane ero io. Dico si chiamava perché i due sassofonisti, i due fisarmonicisti e il batterista sono nelle braccia del Padre, dove mi aspettano.
Da sempre alterno la musica al silenzio mentre lavoro (flauto, chitarra classica, jazz), colleziono strumenti musicali e suono una chitarra acustica cui sono affezionatissimo e che acquistai da un gruppo di gitani in occasione di un’esposizione a Siviglia. La musica è stata per me vitale terapia nel momento buio della malattia ed essenziale nella transizione dallo stile figurativo all’astratto. Infatti, uno dei miei primi cicli pittorici astratti s’intitola “I colori della musica”. A livello professionale ho collaborato con noti musicisti e cantautori, creando copertine per i loro dischi (molti del Gruppo Editoriale San Paolo), e scenografie per festival e concerti. In Belgio, i miei lavori hanno accompagnato gli spettacoli di teatro-danza “Thalassa Mare Nostrum” e il “Martirio di San Sebastiano” del noto coreografo Maurice Béjart. Negli ultimi dieci anni ho sviluppato una forte sinergia con don Giosy Cento, realizzando assieme il libro Shaked (2014) e la copertina dell’ultimo disco che raccoglie i suoi 40anni di produzione musicale.
Un altro elemento che sembra ricorrere è quello dello stupore, della rivelazione, c’è stato un momento preciso della sua vita in cui la meraviglia Creato le si è rivelata?
Lo stupore? Si! Vivendo nei campi – della Maremma dove vivo ora come della pianura padana nella mia infanzia – si è circondati dal meraviglioso Creato. Ogni aurora e ogni tramonto aprono gli occhi allo stupore, come anche l’arsura dell’estate e i tremendi temporali di agosto. Non a caso questi elementi sono narrati e pregati nei testi profetici e nei salmi. Circa 15 anni fa, realizzai il mio primo ciclo pittorico astratto dal titolo “Giuochi di bimbo” proprio nell’intento di catturare questo stupore.
Nel periodo figurativo ho dedicato varie opere alla simbologia delle piante nella Bibbia: non solo i temi ovvi del grano, la vite e l’ulivo, ma anche la palma, gli sterpi e le erbe amare, il tamerisco, il melograno e il mandorlo, che dominano nei miei lavori sui Profeti, le Beatitudini, il Cantico delle Creature e il Cantico dei Cantici. Ma non mi sono soffermato solo sulla natura rigogliosa del Salmo 65 (che ho dipinto in molte versioni): gli olivi nodosi tormentati dalla tempesta e il fico secco figurano nella serie sulla Passione di Cristo e nel Cantico delle Creature a ricordarci che la strada verso la luce non è ovvia e che nessuno è uno scarto agli occhi di Dio.
Da sempre cerco di vivere e dipingere con coscienza ecologica in maniera olistica: la mia ispirazione e produzione artistica sono un tutt’uno con l’impegno nel sociale e nell’ecumenismo. L’enciclica Laudato Si, con l’enfasi sull’ecologia integrale, mi ha spronato a realizzare il ciclo di opere “Ecologia Dentro”, che poi in parte sono state utilizzate per la mostra il “Dono della Natura” (Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, 2021), nella chiave laica che il curatore, il noto critico Gianluca Marziani, vi ha voluto dare.
Perché il titolo Sapienza antica arte contemporanea? Può in qualche modo la rappresentazione artistica rendere attuali Parole così lontane?
Il titolo, nel frontespizio di questo mio ultimo libro, è scritto su due righe in due diversi colori: nella prima riga “Sapienza” in rosso e “antica” in nero; nella seconda “arte” in nero e “contemporanea” in rosso. Seguendo il colore rosso leggiamo “Sapienza contemporanea”. È qui il punto di arrivo e la finalità di tutto il mio lavoro: la contemporaneità della Parola nell’affrontare il mistero tortuoso della vita nell’era dell’antropocene.
Grazie Marcello per il tempo che ci ha dedicato e l’incanto che ci ha trasmesso, spero di riuscire ad ammirare presto le sue opere nella prossima esposizione.