Futuristi forever

I futuristi, per voce di Marinetti, suggerivano di ‘incendiare, inondare, demolire’ i musei; al punto 10 del loro Manifesto proclamavano: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie”, tanto che mi è sembrata una vera e propria nemesi celebrarli con una mostra alla Galleria nazionale di Roma, a parte i drammi che l’iniziativa ha suscitato. Anche se tutti hanno sempre pensato che Boccioni, Prampolini e compagnia Balla, con lo stesso autore del Manifesto, fossero degli inguaribili romantici e che il progetto fosse propagandistico di un’idea provocatoria più che sistematica. Oggi invece lo slogan comincia ad assumere una sostanza su cui ragionare. Non tanto nell’attuazione concreta – i musei che ci sono restino – quanto nella prospettiva della collocazione delle opere degli artisti, fin dalla loro creazione. Sempre più soggetti privati, mecenati con una vena sensibile al significato dell’arte, promuovono iniziative (troppo spesso in supplenza e senza una collaborazione, non voglio dire guida, dello stato) che spandono con un’efficacia considerevole sul piano culturale e sociale, applicando quello che, io credo, fosse proprio l’obiettivo di Marinetti in primis e dei suoi seguaci, magari con intenti non sociali, ma rivolti innanzitutto, se non esclusivamente, all’interno del movimento.

Un caso è quanto avviene a Librino. Librino è quel “non-luogo a procedere” sull’Etna, dove Antonio Presti già protagonista mecenate di Fiumara d’arte, getta uno sguardo alla conterranea iniziativa della nuova Gibellina, purtroppo andata relativamente a buon fine, ma su cui ci sono ancora speranze, comprendente anche l’esperienza formidabile del Cretto di Burri. L’idea di collocare opere all’interno del quartiere di Catania, Librino appunto, non è, ovviamente, affatto nuova, esempi analoghi sono sparsi sul pianeta e sullo stivale, sebbene frutto di scelte episodiche e non di una programmazione; questa però si insinua in una realtà durissima proponendo una sfida più complicata. Ma il risultato, sebbene rapsodico, è comunque positivo. Niente di meglio che sottoporre allo sguardo quotidiano il frutto dell’elaborazione di un artista, se è vero (come è vero) che l’arte fornisce il suo sguardo interpretativo sul futuro, come afferma, in maniera non del tutto originale ma efficace, l’attuale rettrice dell’Università Cattolica o, ancor meglio, l’arte è la più alta forma di speranza di Gerard Richter o addirittura l’artista è custode di bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo, come sostiene, a ragione, papa Francesco; perciò se l’arte è una medicina/cataplasma sociale, dove meglio di un’area cittadina degradata? Proponendo non ingabbiamenti delle opere, bensì offerte pubbliche per le vie, nelle piazze, che tutti vedano.

Si può aggiungere che non è indispensabile arricchire l’opera di contenuti. Principio che guida gran parte di street-artists e writers, quasi obbedendo allo slogan di Majakovskij: Le strade sono i nostri pennelli, le piazze le nostre tele a cui fa eco J. Pintor: purché poeti e pittori sappiano qual è la loro parte. Che, magari senza un programma, abbelliscono di pensieri gli scorci cittadini, suggerendo sensazioni, mescolando alle figure alfabeti di svariati mondi, influendo subliminalmente sui comportamenti; ma anche scatenando prese di posizione sull’attualità, come fanno non tanto gli antesignani della Grande Mela come K. Haring o M. Basquiat, ma Banksy, Blu, Ericailcane e l’esercito di street-artisti greci che inondarono Atene dei loro spiriti sul recente default della propria nazione, dando consistenza con l’anonimato e la gratuità all’estrinsecarsi figurativamente della loro idea.    

È difficile individuare un metro oggettivo per misurare il miglioramento della qualità della vita. Chissà se a Terni, dove sono sparse più di quaranta sculture di nomi altisonanti del presente, nelle decine di parchi artistici in Toscana e nelle cento e più città d’Italia e del mondo, si è agito con criterio, disseminando vie e piazze di opere d’arte dell’oggi, come è accaduto in antico a Persepoli, ad Atene, nella Roma dei Cesari, a Firenze nel Rinascimento, nella Roma dei Papi e durante il Barocco e se questo abbia influito sui comportamenti umani. È bene pensare che sia stato così, sperare che accada ancora.