Internazionale
L’India mette la freccia
È fatta! In qualche momento del mese di aprile, difficile da precisare esattamente date le dimensioni del fenomeno, l’India ha realizzato lo storico sorpasso della Cina per numero di abitanti, raggiungendo quota 1,417 miliardi, e conquistando così il record di Paese più popoloso del mondo. Una notizia che non ha mancato di sollevare numerosi interrogativi sulle prospettive di sostenibilità ambientale del pianeta dove ora vivono oltre otto miliardi di esseri umani. Sì, perché le ultime proiezioni delle Nazioni Unite suggeriscono che la popolazione mondiale potrebbe crescere fino a circa 8,5 miliardi nel 2030 e a 9,7 miliardi nel 2050. Si prevede inoltre che essa raggiungerà un picco di circa 10,4 miliardi di persone durante gli anni 2080, rimanendo a tale livello fino al 2100. A completare il quadro non si può dimenticare che, contemporaneamente all’annuncio dell’exploit indiano che esaminiamo, sono emerse nei media altre due vicende, che hanno un evidente collegamento con i problemi demografici globali. La prima è l’allarme calo delle nascite in Italia. Proiettato all’orizzonte 2100, potrebbe significare una perdita di circa 18 milioni di abitanti nella Penisola, nonostante flussi migratori che si prevedono permanenti ed ampiamente positivi. E una seconda, riguardante le violente proteste popolari durate settimane in tutta la Francia per la decisione del governo di Emmanuel Macron di aumentare l’età pensionabile di due anni, da 62 a 64. Un braccio di ferro apparso a prima vista non del tutto comprensibile, ma serio perché legato all’ineluttabile invecchiamento della popolazione considerato una minaccia il sistema pensionistico francese. Non ci occuperemo qui del calo della natalità e dell’aumento degli anziani in molti Paesi europei e dell’Asia industrializzata, come Corea del Sud e Giappone, anche se ne deve tenere conto per capire i molteplici aspetti dell’incremento della popolazione sulla terra, e le sue conseguenze per la qualità della vita delle future generazioni, nonché per le priorità dei governi che dovranno farvi fronte. la crescita di Cina e India Tornando al nostro punto di partenza constatiamo prima di tutto che Cina e India insieme raccolgono oltre 2,8 miliardi di persone, ossia un terzo di quelle dell’intero pianeta. E poi che alla fine dell’attuale secolo l’Asia consoliderà il suo primato di continente più popolato con 4,7 miliardi di abitanti. Insidiato, sia pure da lontano, dall’Africa che crescerà a ritmi altissimi raggiungendo i 3,9 miliardi. Nello stesso periodo, sostiene l’Istituto nazionale di studi demografici francese (Inad), la nostra cara vecchia Europa scenderà dagli attuali 751 milioni di cittadini, a 587 milioni. Aumenterà quindi lo squilibrio demografico estovest, appena attenuato dalla crescita del continente americano. Una tendenza alla lunga importante per gli equilibri geopolitici e per lo scontro, molto evidente attualmente con la crisi in Ucraina – che chiama in causa la Russia ma pure la Cina – fra Occidente e Oriente per il predominio politico e soprattutto economico planetario. In tutto questo l’India svolge un ruolo molto particolare. Aspira a essere trattata da grande potenza a livello internazionale, visto anche l’argomento della sua imponente popolazione, ed esige addirittura un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma in realtà è costretta a spendere gran parte delle sue energie per cercare di risolvere i suoi tanti problemi interni dovuti a numerosi fattori. Fra questi l’esistenza, non di una sola India, ma di tante, rappresentate dai numerosi Stati che, pur facendo parte della repubblica federale, hanno etnie e lingue diverse. Ci sono poi la struttura prevalentemente agricola dell’economia, una enorme quantità di poveri, una insufficiente crescita dell’occupazione, una questione femminile irrisolta, e una macchina burocratica mastodontica che frena, o per lo meno, rallenta qualsiasi processo di cambiamento. Ad esempio, per restare nel nostro tema, il censimento della popolazione indiana è sempre stato fatto regolarmente ogni dieci anni, con il dispiegamento sul territorio nazionale di milioni di funzionari addetti al rilevamento delle informazioni. Ma l’ultima operazione di questo genere risale al 2011, rendendo oggi difficile il calcolo dell’entità esatta del numero dei suoi abitanti. Perché mai? Il censimento previsto nel 2021 è stato rinviato una prima volta allo scorso anno a causa della pandemia da Covid-19, e poi una seconda al 2024. L’opposizione indiana sospetta che il primo ministro indiano Narendra Modi, ‘uomo forte’ portabandiera di un induismo ortodosso, abbia preso questa decisione per realizzarlo solo dopo le elezioni politiche della prossima primavera, al fine di evitare la diffusione prematura di statistiche che porterebbero alla luce la reale stato del Paese in termini di povertà, caste, alfabetizzazione e occupazione. una popolazione indiana molto giovane Nonostante ciò, siamo di fronte a un Paese giovanissimo, con il 40% della popolazione che ha meno di 25 anni, con una età media di 28 anni, e con la fascia superiore ai 65 anni che costituisce solo il 7% del totale, rispetto al 14% in Cina e al 18% negli Stati Uniti. In uno scenario di normale crescita economica e di buon governo, questa situazione sarebbe per l’India una grandissima opportunità. Ma sarà in grado New Delhi di creare posti di lavoro per il milione di giovani che ogni mese entrano nel mercato, in modo da beneficiare del famoso «dividendo demografico» in termini di capacità produttiva? Purtroppo, mentre l’economia indiana ha creato sette milioni di posti di lavoro negli anni 2000-2010, ora ne genera solo da 3 a 4 milioni, in particolare a causa di un settore chiave, l’It (Tecnologia dell’Informazione), che non facilita l’occupazione, quando spesso addirittura non la distrugge. Non si intacca quindi il comparto del lavoro informale in cui operano oltre l’80% degli indiani, soprattutto maschi, privi di protezione sociale e di contributi previdenziali, e perciò ovviamente impossibilitati a pagare le tasse. i risultati diversi di Cina e India Esaminando il percorso realizzato negli ultimi 70 anni dalla Cina, ci possiamo rendere conto di come le scelte governative a Pechino e a New Delhi abbiano dato risultati molto diversi. Al momento della sua proclamazione al termine della seconda Guerra mondiale, la Repubblica popolare cinese aveva 543 milioni di abitanti, e l’India 357 milioni. Fu quest’ultima formalmente la prima a preoccuparsi della natalità fuori controllo, e nel 1952 annunciò restrizioni alle dimensioni delle famiglie. Ma senza successo, tanto che nel decennio successivo le statistiche mostrarono che ogni madre indiana aveva mediamente sei figli. Nel 1963, però, si scoprì che il tasso di maternità delle donne cinesi aveva raggiunto un picco superiore, di 7,5 figli. Ci vollero altri sette anni ai dirigenti cinesi per imprimere una vigorosa sterzata con l’introduzione di una draconiana disposizione: ad una donna era permesso avere solo un figlio. Nel 1982 i cinesi diventarono un miliardo, ma la nuova misura di limitazione delle nascite cominciò a fare effetto perché all’orizzonte del 1990 i neonati erano scese a 2,5 bambini per madre. Nel frattempo, l’India aveva introdotto un discusso programma di sterilizzazioni, prima degli uomini e poi delle donne, nonostante il quale nel 1997 anche l’India raggiunse la quota di un miliardo di abitanti. Da quel momento le velocità di incremento demografico dei due giganti si sono invertite. La politica del figlio unico cinese diede frutti, e anzi si videro i primi segnali negativi di essa (a causa di aborti selettivi nascevano più maschi che femmine, e mancava manodopera giovane). Questo portò le autorità cinesi a una nuova correzione politica con l’autorizzazione nel 2015 di un secondo figlio, e di un terzo nel 2021. Ma poiché l’effetto delle modifiche richiedeva tempo, per la prima volta dalla carestia del 1959 due anni fa si registrò una diminuzione della popolazione cinese, acuita dalle conseguenze nefaste del Covid-19. Ecco perché l’India ha potuto mettere la freccia per un sorpasso che, come abbiamo visto, è denso di incognite e di sfide per il governo di Modi.