Il poliedro
L’ecumenismo di Paolo Ricca
“Ha senso parlare dell’aldilà, sapendo di non saperne nulla? Fin dall’antichità più remota sono state formulate sull’argomento molte teorie, tutte ipotetiche, alcune, forse, più plausibili, altre meno, che meritano di essere conosciute prima di venire eventualmente scartate. Il fatto incontestabile che non ci siano certezze… non impedisce di ritenere che qualcosa, pur non essendo certo, sia possibile, a cominciare dalla possibilità che esista un aldilà, nel senso di una vita oltre la morte. Non ci sono prove che un aldilà o la vita oltre la morte esistano, ma neppure che non esistano. L’aldilà non è certo, ma è possibile”. Così si esprimeva Paolo Ricca, in occasione dell’uscita per Claudiana, nel 2018, del suo bellissimo Dell’aldilà e dall’aldilà.
L’IMMAGINE DEL PROTESTANTESIMO NAZIONALE
Impossibile, per me, non ripensare a queste sue riflessioni realistiche, ora che Paolo è morto, poche settimane or sono, producendo un cordoglio unanime le cui numerose tracce sono state da subito percepibili anche sui social. Ora che è in grado di constatare direttamente quanto si chiedeva, nel sottotitolo di quel volume: Che cosa accade quando si muore? Dunque, proverò a scrivere qualcosa di lui, ben sapendo che sarà necessaria una certa distanza da questi giorni dolorosi per rendere conto, almeno parzialmente, della sua indubbia rilevanza nella vicenda del cristianesimo italiano, europeo e mondiale dell’ultimo mezzo secolo. Perché Ricca ha rappresentato l’immagine del protestantesimo nazionale come nessun altro, ed è stato il suo volto più noto e apprezzato, con un’autorevolezza decisamente indiscussa. Nato nel 1936 nel cuore delle Valli valdesi, a Torre Pellice, dopo la maturità classica conseguita a Firenze si avvia agli studi teologici, che lo portano prima alla Facoltà valdese di Roma e poi negli Stati Uniti e a Basilea. Nella città svizzera incontra il teologo luterano Oscar Cullmann, di cui diviene allievo, e Karl Barth, forse il teologo chiave del secondo Novecento (in un’intervista ammetteva che di Barth ricordava tante cose, ma quella che più gli era rimasta in mente era la sua capacità di sorridere di sé stesso, non prendendosi troppo sul serio, dato che solo i grandi raggiungono un tale livello di sapienza). Figura chiave anche in ambito ecumenico, dopo aver seguito i lavori del concilio Vaticano II come giornalista accreditato, diverrà membro della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), che ha l’obiettivo di essere al servizio delle varie chiese perché si invitino reciprocamente a “tendere verso l’unità visibile in una sola fede e in una sola comunità eucaristica”.
L’APARTHEID EUCARISTICO
Per anni Paolo sarà docente di Storia della Chiesa a Roma, alla Facoltà valdese: ma all’attività accademica affiancherà costantemente quella di divulgatore e conferenziere in tutta Italia e all’estero. Molto apprezzati – fra l’altro – i suoi interventi alle sessioni estive del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), fondato dall’amica Maria Vingiani, alle trasmissioni televisive di Protestantesimo e a quelle radiofoniche di Uomini e profeti. Non posso dimenticare, fra l’altro, il suo racconto relativo alla collaborazione con Roberto Benigni, nel 2014, per la realizzazione delle due puntate della lettura e spiegazione su Raiuno dei Dieci comandamenti, e la vivace cena con l’attore toscano e la moglie Nicoletta, a casa Ricca…
Sosteneva spesso di sentirsi parte di quella Chiesa invisibile di cui era “diventato servitore, per annunciare nella sua totalità la parola di Dio” (Col 1,25), deprecando però il fatto che, a dispetto delle tante esperienze di dialogo in corso, il condominio cristiano è purtroppo ancora strutturato in appartamenti separati, in cui ogni confessione vive per conto suo. Con una speciale attenzione alla vicenda, tuttora irrisolta, dell’intercomunione fra le chiese. La questione della comune partecipazione di tutti i cristiani all’unica mensa del Signore è infatti una delle più gravi ferite ecumeniche, da molti secoli, ma non sembra che una sua soluzione sia alle porte. Al riguardo lui si spingerà a parlare sul settimanale del protestantesimo storico italiano, Riforma, di apartheid eucaristico, presentandolo come un drammatico paradosso: proprio la cena che Gesù ha celebrato per unire i discepoli a sé e tra loro, nel dono della sua vita e della sua persona, istituita per essere il più alto segno e strumento di unità e comunione, è diventata, nelle mani dei cristiani, occasione e ragione di dispute infinite, reciproche scomuniche, divisioni. Da parte sua, riteneva che la via maestra per l’ecumenismoè quella indicata, già negli anni Ottanta, dal suo maestro Cullmann, l’unità attraverso la diversità (ripresa anche da papa Francesco nell’Evangelii gaudium): “Conformemente alla sua stessa natura, lo Spirito santo esercita una azione diversificante. E tuttavia questa azione non porta a una frammentazione. Ogni membro del corpo prosegue la sua missione che è orientata verso l’unità; avviene lo stesso per i membri della comunità di fedeli. È in questa diversità che risiede la profusione della pienezza dello Spirito santo. Chiunque non rispetta questa ricchezza e vuole l’uniformità, pecca contro lo Spirito santo. Anche l’uniformità è un peccato contro lo Spirito santo”.
L’ESSENZIALE CRISTIANO
Autore di molti scritti, libri e testi di studio ma anche divulgativi, Paolo ha contribuito a formare generazioni di credenti ma anche non credenti. La sua ricerca, infatti, è stata apprezzata da tante persone di fedi diverse. Personalmente, sono numerosi i ricordi che mi legano a lui, a confermare la sua apertura a 360 gradi, senza disdegnare le piccole platee e gli inviti dalla provincia: mi limito a citarne uno, che ritengo esemplare. Qualche anno fa accettò di partecipare, diventandone ospite fisso fino a poche settimane or sono, di una coraggiosa duegiorni ecumenica che da tempo si tiene a luglio – a cura della diocesi piemontese di Acqui Terme – a Garbaoli, casa estiva dell’Azione Cattolica. Nel 2021 il tema dell’iniziativa era la sinodalità, in occasione dell’imminente Sinodo della chiesa cattolica italiana, e da parte cattolica fui io a intervenire. Quella volta Ricca riflettè su un argomento non scontato: Che cosa si attendono dal Sinodo le chiese sorelle che sono in Italia. Sottolineando da subito come fosse la prima volta, per lui (ma non solo per lui, verosimilmente), che dalla chiesa cattolica giungeva una richiesta del genere; e che una simile richiesta, dopo la storica vicenda degli osservatori non cattolici dei cosiddetti fratelli separati al Vaticano II, segnasse ai suoi occhi una vera e propria svolta in ambito ecumenico. Fu un intervento, da casa causa pandemia in corso, per nulla retorico (recuperabile nel sito dell’associazione www.acquiac.org), in cui egli si soffermò sul senso autentico della sinodalità, elemento caratterizzante della tradizione valdese, evidenziando due questioni previe a suo parere cruciali: la composizione del Sinodo, da un lato, e i suoi poteri e prerogative, dall’altro. Ricca ammise apertamente che, tra le sue aspettative, ci fosse quella di essere invitato, ovviamente come chiesa, e non solo come semplice osservatore senza diritto di parola (come avviene regolarmente, a parti invertite, in occasione dell’annuale Sinodo valdometodista). Senza dimenticare che in realtà noi cristiani, pur appartenenti a chiese tra loro divise, siamo già “una cosa sola”, secondo l’auspicio di Gv 17,20-26, in quello che si potrebbe dire l’essenziale cristiano. Qual è questo essenziale cristiano? Ai suoi occhi, è la fede nel Dio trinitario e in Gesù veramente uomo e veramente Dio: ecco la fede comune a tutti i cristiani. Il che dovrebbe essere sufficiente per dichiararci uniti in ciò che è costitutivo del nostro essere cristiani, cioè ciò che veramente conta, vale e qualifica come cristiani… ma le chiese, spesso, sembrano non crederci, credendo più nella loro divisione che nella loro unità! Certo, ci sono differenze, anche di un certo spessore, ma sono davvero essenziali, e vitali per la fede cristiana? Ad esempio: il papato è essenziale per la fede cristiana? Per i cattolici forse sì, ma non per gli ortodossi né per i protestanti. Come nel secolo apostolico, così nella storia della Chiesa si sono manifestati diversi tipi di cristianesimo: si può essere diversi senza essere divisi; è però indispensabile che ciascuno accetti la diversità dell’altro. Altrimenti non si avanza verso l’unità…
UN’EREDITÀ PREZIOSA
È scontato affermare che Paolo Ricca mancherà, e non poco, non solo ai suoi fratelli e sorelle della chiesa valdese, ma anche a quanti hanno avuto il privilegio di conoscerlo o di ascoltarlo nelle sue straordinarie capacità espressive. Ma il suo lascito rimane, la sue eredità è enorme, e ci si deve augurare che durerà nel tempo. Ora è il tempo delle lacrime per questa perdita gravissima, ma anche quello del ringraziamento a Dio per aver potuto fare un pezzo di cammino con lui. Con un cristiano autentico che eppure appena qualche mese fa, rispondendo a una domanda di Stefano Zecchi proprio per Rocca su perché fosse sia diventato valdese, dichiarava: “Sono nato in una famiglia valdese, anzi, mio padre Alberto era anche lui pastore. Però non basta nascere in un contesto familiare valdese per diventare valdese. Ho impiegato tutta la vita tentando di diventare cristiano perché, come diceva Kierkegaard, siamo tutti aspiranti cristiani. Diventare valdese ha un senso come tappa per diventare cristiano. Ma non lo si diventa mai compiutamente. Siamo cristiani in fieri. Bisogna che Cristo venga e, nella sua misericordia, faccia anche di me, col suo perdono, quel cristiano che non riesco a diventare”.