Natale
La luce della notte si è fatta lanterna
Ora che ne scrivo non so. Quante cose non so. Mi prende timore che il Natale quest’anno sia violato dall’insulto della guerra. Da anni è violato da guerre ignorate: purtroppo non ci hanno toccato. Ma ora proprio nella terra di Gesù, a una manciata di chilometri da dove è nato.
Leggo nelle chiese in tempo di avvento parole che accendono sogni di grande respiro e sogno, sono uomo di sogni. Ma poi, mente e cuore mi battono dentro, corrono alle situazioni drammatiche che stiamo vivendo, alla sofferenza di tanti, di troppi, alla loro fatica di vivere. Metto a confronto immagini dei profeti e immagini della terra e mi rimangono ombre nel cielo dell’anima, un sentimento triste di distanza tra limpidezza di sogni e crudezza della realtà.
Che cosa fare? Cancelliamo i sogni, per stare con i piedi sulla terra? Cancelliamo dagli occhi la terra per evadere con sogni nel cielo? Ebbene penso che la vera arte sia abitare la distanza, abitare la distanza tra sogno e realtà. Abitarla come una terra di mezzo, e cercare di far accadere, sulla terra di mezzo, non spezzoni di guerra, ma spezzoni di sogni, dei sogni dei profeti dei sogni che ci abitano.
È così che mi sgusciano dal buio pastori e lanterne: il cielo su di loro si avvampò, ma fu per pochi secondi, poi fu storia di lanterne. Non videro magie di miracoli là dove li portò parola di angelo, solo fasce e mangiatoia, il segno della vicinanza, un Dio non distanziato. E che il sogno fosse ricucire le distanze? Tenere a custodia l’olio nella lanterna, l’olio profumato della notte santa? E illuminare – perdutamente illuminare – i volti, ogni volto?
Tu non ti scandalizzi, Signore,
se questa notte ti prego
non da chiese di incensi,
ma dal campo dei pastori.
Sto con loro mescolato,
pur se non li merito.
So che la luce verrà su di loro
e io mi farò in parte ladro,
la ruberò ai loro volti.
Sto con i pastori.
Era buio nel campo.
Come oggi è buio
in campi a non finire
del mondo.
Dormivano o vegliavano
I pastori?
Non dormono mai del tutto i pastori
ascoltano paure,
ascoltano i sogni delle pecore.
Ancora non sapevano
– e noi oggi lo scordiamo –
che tu sei un Dio che odi
il respiro leggero
delle pecore nel sonno.
Pure il belato
di un cucciolo di gregge.
Vegliavano – è scritto – i pastori.
E io a tendere orecchio
con loro al quasi non respiro
di donne e uomini
che non prendono sonno
nelle notti del mondo,
per fame, per viaggi
senza speranza,
per affogamenti,
per abusi su donne,
e non una carezza
che sfiori il viso
non una mano che stringa
la mano invocata dell’altro
nella notte del mondo.
Buio il cielo o di cobalto
le notti della terra.
Eppure qua è là nel campo
pulsare di lanterne,
quel grumo di luce
che ancora, Signore,
mi salva dal mio disperare.
So che tu aggiungeresti oggi
beatitudine
per chi tiene le lanterne
del mondo.
Perché il buio – tu lo sai,
lo sai tu che hai creato la luce –
il buio senza stelle
e senza lanterne
genera sospetti,
crea fantasmi,
reclama distanziamenti,
porta con sé,
per miope sicurezza,
un chiudere ossessivo,
pesante, di porte.
Tu sai, Signore, che la nostra,
dall’in principio,
è storia di sospetti.
Moltitudini, come i pastori,
marchiate
portano segno di sospetti,
non c’è posto per loro
nella città
ancor meno nel tempio.
Sto con le lanterne dei pastori,
prima che d’un tratto si incendi
per volo d’angeli il cielo
e la luce si impigli alle nostre vesti
che odorano di pecore,
a squarciare il sospetto su Dio,
a cantare la fine
del distanziamento:
Il cielo si è chinato
sino ad abbracciare la terra;
e un Dio neonato,
non distanziato dai neonati dei pastori,
in fasce ruvide, coricato su paglia,
sarà segno per sempre
del cessato distanziamento.
È l’annuncio degli angeli nella notte
che chiameremo santa.
Luce impigliata ai visi,
da non crederci.
Un grumo il tempo della luce.
Ed è subito buio notturno.
Delle pecore svegliate dalla luce
ritorna il respiro trasognato.
Ritorna il tempo delle lanterne,
sotto un cielo di cobalto..
A noi, poveri pastori, rimane
Il dondolare della luce
nelle lanterne:
non abbiamo fedi sontuose
ma sfrigolio di fiamma
che sembra aver preso olio
dall’angelo
del campo dei pastori.
Con una fede da lanterna
veniamo a te così come siamo,
con l’odore delle pecore addosso.
Non ce lo scuotiamo.
Angeli ci hanno detto
che è nato per noi il Salvatore,
per noi sospettati
per noi che non siamo degni.
Arriviamo a te per via di lanterne.
E siamo qui a dirti
che è cosa buona e bella
che sopra il riparo
dove mettiamo in mangiatoie
cuccioli di pastori,
non si sia acceso il cielo,
niente distanziamento:
la donna, come una delle nostre,
dà latte al bambino che piange,
la lanterna dell’uomo fa luce,
i visi si avvivano a deboli chiarori.
Non una parola, Signore,
troppe ne abbiamo sprecate
parla il silenzio.
La lanterna è su un Dio
non distanziato,
il suo nome Emmanuele,
Dio con noi,
non distanziato.
Si ritorna a passi di lanterna.
A raccontare che Dio è in mangiatoie.
A illuminarlo
non sono cieli accesi
ma lanterne.
Va’ anche tu.
Non sprecare parole.
Va’ con lanterna.
Non venga meno per le strade
l’olio della notte santa,
forse basta questo sfrigolio di luce
per resuscitare un viso
dalla tomba del buio,
per dare un nome ai senza nome,
per strappare donne e uomini
alla dissacrazione della irrilevanza.
Nel tuo nome, Signore, di “non distanziato”,
più non può accadere
sequestro di salvezza
o di speranze o di gioia.
Daremo compimento a parole
universali dell’angelo del campo:
“Non temete. Vi annuncio una grande gioia
che sarà di tutto il popolo”.
Dillo con la tua lanterna,
rischiarando per passione
ogni volto.
La luce della notte
si è fatta lanterna.