Fatti e segni
Itineranti come Francesco
“Io penso che i politici se vogliono essere onesti col mondo che intendono servire devono essere mistici e artisti nello stesso tempo” (don Tonino Bello, 22 dicembre 1985, Molfetta, discorso agli operatori politici, consiglieri comunali, segretari di partito, dirigenti sindacali). Da queste parole di don Tonino Bello vorrei approfondire la definizione di “mistico errante”, visto che l’ho stampata su magliette e borse in occasione della prima Festa della Malanotte (giugno 2022, Torricella sul lago Trasimeno). C’è chi mi chiama e mi presenta così amichevolmente, don Giovanni Mazzillo è uno di questi, e anche Stefano, da prima di arrivare all’Eremo dove abito insieme a loro, mi chiama affettuosamente “mistico” (sottinteso “errante”).
Erranza come esperienza esistenziale e spirituale
Molte cose si apprendono, anche di e su se stessi, in cammino. Negli ultimi mesi sto approfondendo la storia di Francesco di Assisi, e allora voglio condividere alcune osservazioni e “scoperte”. Nell’erranza c’è un programma esistenziale e spirituale, ricordiamo i primi francescani, appunto, “itineranti”. Nella prima regola non bollata di Francesco, si insisteva molto su questo aspetto, e ricordiamo i francescani cosiddetti spirituali (forse sarebbe meglio dire itineranti?), che furono “eliminati” dai conventuali e dalle gerarchie, ma non solo, anche dalla cultura mercantile che nel 1200 iniziava a “sostituire” la cultura conviviale: Erich Fromm in Fuga dalla libertà, fa notare che in quel periodo, per la prima volta nella storia, gli ordini di frati mendicanti cominciavano a essere disprezzati perché improduttivi in quanto basavano la loro sopravvivenza sull’elemosina e la carità popolare (si vedano anche studi di Ivan Illich e interventi di Umberto Galimberti al riguardo). Inizia in quel periodo lo stravolgimento che porta all’intraprendenza individuale, all’accumulo di capitale che crea monopolio (per capire tutto il contesto storico consiglio di leggere i primi capitoli di Fuga dalla libertà, sopra citato), quindi le prime avvisaglie di civiltà industriale, e poi la cultura borghese che sostiene una certa logica di accumulo e status sociale basato sul potere d’acquisto, e quindi il neoliberismo post consumista e l’esperienza sempre più espropriata (Walter Benjamin: “L’uomo contemporaneo è un uomo espropriato dell’esperienza”). Giancarlo Bruni, teologo e servo di Maria, raccomanda spesso la linea dell’erranza: “Mi raccomando, sempre itineranti”. Lui stesso vive in due realtà monastiche: a Bose e in un Eremo dei Servi di Maria in Toscana. Ma attenzione, itinerante non vuol dire solo e necessariamente “spesso o sempre in viaggio”, già Francesco aveva dovuto affrontare questo dilemma che gli provocò non poche crisi e grattacapi, per quel tempo in cui i frati o stavano nei conventi o negli eremi sperduti, e allora lui formulò per la prima volta nella storia del monachesimo quella dolorosa e straziante (per quel tempo) decisione, perché non aveva nessuno che lo consigliasse, se non Dio, e anzi veniva anche osteggiato nei suoi movimenti rinnovatori. Poi sciolse l’inghippo in questo modo, che oggi può sembrare scontato o facile, ma senza di lui non sarebbe stato così scontato, per noi, oggi. Propose una vita eremitica e itinerante insieme (ricordiamo che andò spesso fuori dall’Italia, non solo in Medio Oriente per incontrare il sultano, anche questa una cosa inaudita allora: o andavi missionario, e non erano neanche tanti i frati e religiosi che lo facevano a quell’epoca, e neanche come lo concepiamo oggi, perché non esisteva l’America allora né altri luoghi oggi conosciuti, o non ti muovevi dalla tua città né, a volte, dalla tua cella, in quanto frate), e la risolse così: l’eremo è un luogo di raccoglimento e di ritiro, luogo e momento di ricarica attraverso la compagnia di Dio, per poi potere andare incontro al mondo errando e raccontando la gioia e l’amore del Vangelo.
Erranti dei nostri giorni
Giorni fa a Roma, al Festival Eirene, ho incontrato un “viaggiatore” che si sposta di qua e di là, portandosi sulla bicicletta quello che gli serve, e parlando con lui ho saputo che ha partecipato a una marcia nonviolenta, a Sarajevo: “Non a quella con don Tonino Bello del 1992, ma poco dopo, se n’è fatta un’altra”. Quando ha visto alcuni reportage di viaggi su una rivista che avevo in mano, mi ha detto che lui non ha scritto niente dei suoi numerosi viaggi, e si autocommiserava: “sono pigro, avrei potuto farlo ma non l’ho fatto”. Ecco, qui casca l’asino: quanta consapevolezza teorica abbiamo dei nostri viaggi, gesti, esperienze politiche, quindi personali e collettive al contempo? Mi rivolgo ai tanti giovani militanti ecologisti degli ultimi anni: vi curate di fare memoria e di elaborare coscienza teorica delle vostre attività politiche? E soprattutto: coscienza individuale? Faccio un esempio storico e recente. Turi Vaccaro (al quale ho dedicato una canzone, l’ho ospitato a casa mia e seguo il suo percorso che negli ultimi anni lo ha portato più volte per brevi periodi in carcere) è un antimilitarista nonvionento, però coltiva poco l’elaborazione dei suoi gesti e delle sue scelte politiche (sabotaggi e azioni dirette antimiltariste) con il rischio di risultare folklorico e, a volta, narcisista. Ha scontato pochi anni di carcere in modo scaglionato, avrebbe potuto scontarne di più, per avere danneggiato un F-16 in Olanda, nel 2005. Poi però ha anche rischiato di subire un Tso perché camminava a piedi nudi (lo fa sempre, inverno compreso a qualsiasi altitudine) in una piazza di una città olandese, e i piedi erano bagnati dall’acqua di una fontana (me lo ha raccontato lui, forse in Olanda sono più rigidi che al sud Europa e repressivi anche nei confronti di uno che cammina a piedi nudi nell’acqua?)
Marco Camenisch ha scontato 25 anni di carcere, ha scritto pagine e pagine di lettere e documenti da cui il libro Achtung Banditen, Marco Camenisch e l’ecologismo radicale: un magistrato lo ha accusato di esercitare “troppe azioni di scrittura”, cioè era considerato “pericoloso” perché anziché rassegnarsi o farsi imbottire di farmaci (cosa molto diffusa, sia ufficialmente che ufficiosamente, in molte carceri dell’occidente) elaborava la sua esperienza personale e quella collettiva… con la penna e il foglio. Cosa ne consegue da tutto ciò? La necessità dell’erranza, o di essere itineranti, fuori e dentro, è un’istanza fondamentale che Francesco di Assisi aveva intuito e che oggi, in un’epoca di immobilismi, della pigrizia mentale, delle tendenze a digitalizzare e a eliminare la realtà sostituendola con tecnologie virtuali (metaverso e intelligenza artificiale compresi?) è tutto da ristudiare, da rivalutare e rivitalizzare.