Chiesa e teologia
Il fiato sospeso del Papa e il nostro

Il 14 febbraio scorso papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico universitario Agostino Gemelli per una polmonite. I fedeli si sono uniti in preghiera, come una continua eco in risposta a quella prima richiesta, appena eletto. Anche il nostro respiro sembra far eco a quello del Papa: appena giunta la notizia delle sue difficoltà, respiratorie, il fiato è mancato un po’ anche a noi. Una reazione naturale, per chi appartiene a quel popolo che da 12 anni cammina in comunione.
Quel che non mi aspettavo, è stato riconoscere lo stesso fiato sospeso in persone che di questo popolo non sentono di farne parte (la mia cosiddetta “bolla” è piuttosto variegata, frutto di un percorso di vita fin qui frammentato e più volte ricomposto).
Non me l’aspettavo, ma non mi ha stupito. Come non mi ha stupito che fossero soprattutto donne che, a vario titolo, hanno una passione politica e hanno a cuore le sorti del mondo. Pur nella diversità delle sensibilità personali, quel che è emerso era un sentire comune: che il mondo avesse ancora bisogno di Francesco. Francesco: così lo hanno chiamato, esprimendo una familiarità e allo stesso tempo riconoscendogli un’autorevolezza che prescinde dal ruolo istituzionale. Questo non ha impedito loro in passato di criticare, anche duramente, le posizioni non condivise e, allo stesso tempo, non ha impedito loro di sperare che papa Francesco resista. Gli eventuali conflitti non lo hanno reso un nemico, anzi, nel tempo è diventato un punto di riferimento affidabile, talvolta l’unico.
Da quella Quaresima in cui percorse il sagrato della Basilica di San Pietro, deserto e silenzioso, in piena pandemia, a quella in cui chiese ad una donna ucraina e una donna russa di portare insieme la croce nella XIII stazione della via Crucis – solo per richiamare alcuni dei momenti più significativi – durante il suo pontificato papa Francesco è riuscito a mostrare una sincera e profonda partecipazione alle gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne di oggi.
Oggi soprattutto, in questa nuova Quaresima in cui – mentre cresce la retorica delle armi e della guerra – la sua voce è una delle poche che continua ad orientarci verso la pace, ricordando la necessità del disarmo. In questo clima teso di conflitti tra interessi contrapposti, credo che la credibilità di Francesco stia proprio qui: nel sentire che le sue parole non servono altro interesse che il nostro e della nostra casa comune, ciò che gli è stato affidato. Questa libertà che permette al Papa di svincolarsi dall’ingiunzione a schierarsi tra le polarizzazioni è la libertà di ciascun cristiano, ma tutela la libertà di chiunque ed è, a mio avviso, ciò che fa riconoscere come prezioso e necessario il suo contributo nel dibattito pubblico.
Nei 38 giorni del suo ricovero – un tempo lungo, lunghissimo, in un momento di rapidi mutamenti – il Papa ha continuato a comunicare: la sua voce resa ancora più efficace dall’equilibrio tra assenza e presenza, debolezza e forza, timore e speranza. La notizia delle sue dimissioni ha certamente fatto tirare un sospiro di sollievo a molte e molti di noi, ma la capacità di respiro sua e nostra è in affanno e la convalescenza avrà i suoi tempi. Ad ogni modo, ancora una Pasqua ci attende.