Gaza e noi

Illustrazione di Amaro Della Quercia

Quanti di noi, tanti, hanno amato ed amano il popolo di Israele, la fede e la cultura ebraica, la storia di un’alleanza mai revocata, il dialogo appassionato ed essenziale tra ebrei e cristiani attraverso cui i credenti in Yeshua ritrovano la propria radice, dopo secoli e secoli di antigiudaismo che ha alimentato persecuzioni e tragedie, fino alla follia nazista della soluzione finale, non possono non vivere con sofferenza l’infinito dolore di Gaza. Quanti tra noi hanno gustato la bellezza della fiorente letteratura israeliana moderna, da Oz, a Yeoshua, a Grossman, solo per citare i più noti o hanno vissuto tante tradizioni cresciute nella diaspora e si sono accaniti a balbettare qualcosa della lingua del popolo della Scrittura, non possono non alzare una voce netta a difesa di un popolo di anziani, donne, bambini uccisi dalle bombe, dalla fame, dalla sete, dalle epidemie. Tanto più coloro che, come chi dirige e chi scrive questa rivista, hanno denunciato con assoluta fermezza e profonda indignazione gli orribili crimini commessi il 7 ottobre del 2023 dai terroristi di Hamas per di più contro ragazze, giovani, famiglie, in gran parte solidali con i diritti del popolo palestinese. Ma che c’entra il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele con i crimini immani sulla popolazione civile di Gaza? La sua riaffermazione e lo stesso diritto a una difesa proporzionata, deve andare di pari passo col riconoscimento dello Stato di Palestina. Come non ricordare a tale proposito la ripetuta violazione da parte di Israele delle risoluzioni delle Nazioni Unite e la tolleranza della comunità internazionale nei confronti di queste violazioni. Come non comprendere che tutto ciò rovescia alla radice la credibilità del diritto internazionale. Sanzioni ai nemici e tuttalpiù ipocriti buffetti agli amici. Come non vedere che questo legittima il ricorso a logiche di guerra e di riarmo generalizzati e riaccende l’idea che davvero la guerra sia la prosecuzione della politica con altri mezzi e non la negazione della politica come la più alta forma di governo pacifico delle relazioni sociali. Attenzione, dentro la striscia di sofferenza e di sangue di Gaza, in un minuscolo lembo di terra, rischia di marcire insieme al diritto alla vita la vita stessa del diritto e, per una inimmaginabile nemesi storica, un popolo perseguitato come nessun altro lungo i millenni, rischia di riprodurre per opera di chi lo governa e di quanti lo sostengono, le logiche di oppressione e di sterminio di cui è stato vittima. Questa è davvero benzina sul fuoco dell’antisemitismo che continua a covare sotto la cenere anche del nostro tempo. E su cui è sempre bene vigilare. Ma non facciamoci incantare dal paradosso di quanti, essendo per una buona parte la lunga coda del lupo fascista autore e cantore delle leggi razziali, si trasformano in candidi agnelli che con diuturno belato difendono anche l’indifendibile dell’operato del governo israeliano, dimenticando di fatto ogni diritto del popolo palestinese. Il paradigma dello stare dalla parte dell’oppressore rimane, in forme nuove, esattamente lo stesso. Gli amici veri del popolo ebraico invece piangono due volte. Per la folle e sanguinaria aggressione ai civili di Gaza, soprattutto i più indifesi e per il rischio grave che Netanyahu ed i suoi assestino un colpo mortale, una macchia indelebile per Israele e l’ebraismo. Quello che Anna Foa, intervistata in questo numero da Marco Bevilacqua, definisce “Il suicidio di Israele”. Oggi è soprattutto il momento di una vigorosa mobilitazione popolare mondiale contro lo sterminio delle sorelle e dei fratelli di Gaza, sorelle e fratelli in umanità. Una mobilitazione possente che induca la comunità internazionale ed i singoli Stati (e spesso non sono canaglia solo quelli che portano questo stigma) ad esercitare ogni pressione nei confronti del governo israeliano perché cessi da questa lugubre prassi criminale di sterminio, perché arrivino gli aiuti umanitari, possano trovare salvezza gli ostaggi rimasti in vita, perché venga riconosciuto lo Stato palestinese, perché toccato il fondo dell’abiezione e dell’indifferenza umana, si avvii, per uno di quei rimbalzi che attraversano la storia, un negoziato di pace affinché due popoli e due Stati possano vivere in sicurezza e cooperazione. Impossibile? No necessario. L’alternativa è l’insicurezza, la crisi economica e sociale dell’area, l’oppressione di una popolazione, la recrudescenza del terrorismo in quella regione e nel mondo, la fine di ogni possibile appello al rispetto dei diritti umani in ogni parte del pianeta. Nel microcosmo sanguinante di Gaza si decide la qualità della convivenza per questa e per le generazioni future.