Decreto sicurezza, atto grave

Lo scorso 4 aprile il Governo approva il Decreto sicurezza che appena una settimana dopo entra in vigore. La repentina iniziativa dell’esecutivo appare anomala, posto che un suo disegno di legge sulla stessa materia, discusso da oltre un anno in Parlamento in un centinaio di sedute, già beneficia dell’approvazione della Camera e si avvia al voto del Senato. La scelta di Palazzo Chigi di intervenire d’urgenza fagocitando l’iter parlamentare in corso suscita severi giudizi sul piano sia della procedura che del contenuto.

In primo luogo le meritate critiche si appuntano sul ricorso al decreto legge. In quanto strumento d’eccezione rispetto alla primaria potestà del Parlamento, l’art.77 della Costituzione lo riserva al Governo nei soli “casi straordinari di necessità ed urgenza”. Nonostante le rigorose condizioni poste dalla Carta, da tempo le compagini che si susseguono nel governo del Paese, non esitano a far largo uso dei decreti legge. In tale consolidata tendenza – sintomatica dell’affievolito ruolo del Parlamento legislatore – l’attuale Governo si inserisce appieno accelerandone il passo. Dalla fine di ottobre 2022 – quando la coalizione di centro-destra si insedia – a tutto il gennaio 2025, i decreti legge raggiungono il numero di 84, il più alto nelle ultime quattro legislature (vedi www.openpolis.it). Nel caso di specie, a fronte di un processo parlamentare vicino al compimento, le ragioni di non comune “necessità e urgenza” dovrebbero appoggiarsi su emergenze sopravvenute, talmente diffuse e gravi per la sicurezza, da non poter tollerare neppure la non lunga attesa per la nuova legge. Senonché, il Governo non si dà carico di offrire alcuna concreta spiegazione al riguardo. Del resto, a rendere obbiettivamente ardua, meglio impossibile, la giustificazione del provvedimento in termini di reale impellenza contribuisce il contenuto estremamente variegato dello stesso.

Risale a fine aprile la dura denuncia formulata da oltre 250 docenti universitari di diritto costituzionale e pubblico. Dopo aver ricordato che il “compito dei giuspublicisti nei periodi normali della vita del Paese è quello di interpretare ed insegnare la nostra Costituzione… e assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università”, il documento avverte come vi siano dei momenti “nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni”. Il Decreto sicurezza costituisce uno di questi momenti in quanto “… ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere, presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel (..) vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere”. Qui, la violazione della Costituzione – che impone il cauto impiego del decreto legge in forza della separazione tra poteri – si presenta del “tutto ingiustificata e senza precedenti”e financo un“plateale colpo di mano”attuato dal Governo“al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati”.

Quanto al merito del provvedimento, colpisce la forte eterogeneità di contenuto sia per le normative che per le materie toccate. In particolare, i 39 articoli modificano non solo vari codici – penale, di procedura penale, di antimafia e prevenzione, strada, della navigazione e delle comunicazioni elettroniche – ma anche diverse leggi speciali in tema di vittime della criminalità organizzata, protezione di collaboratori e testimoni di giustizia, amministrazione di beni sequestrati e confiscati, sicurezza nelle città, libera circolazione ferroviaria, misure fiscali connesse ad eventi eccezionali, enti locali, bilancio dello Stato, coltivazione e filiera agroindustriale della canapa, dotazioni, armi ed assistenza legale per le forze di polizia, immigrazione, missioni internazionali, servizi di informazione per la sicurezza, vittime di usura, benefici e lavoro per detenuti.

Come vivacemente richiamato dall’autorevole giurista Glauco Giostra (vedi Domani, 7 maggio 2025), si tratta di una “lenzuolata di novità normative ad alta illiberalità ed a bassa efficienza, espressione di quel demagogico giustizialismo, che altro non è se non il cugino del populismo che ha studiato legge”.In effetti, vi sono più ragioni per considerare il Decreto sicurezza un cattivo esempio di esercizio legislativo. In particolare, esso si connota per la pioggia di previsioni, talora consistenti in prolisse disposizioni autonome e talaltra costituiti da periodi od anche semplici parole destinate ad innestarsi – con effetto sostitutivo o aggiuntivo – su testi preesistenti. L’inevitabile effetto è quello di una complessa lettura tanto nell’insieme che nello specifico del testo, con la sconfortante prospettiva che il Parlamento, nello stretto tempo a disposizione per la conversione, non riesca a cogliere e valutare con la dovuta cura l’impatto del decreto. Ma non solo, perché l’immediata entrata in vigore del provvedimento ben può accentuare le incertezze di interpretazione in coloro che sono chiamati a darne o subirne l’applicazione.

Suscita poi preoccupazione lo spinto favore per il jus puniendi – che l’attuale coalizione governativa non smette di esibire sin dall’ottobre 2022 quando, a pochissimi giorni dall’ insediamento, decide di punire severamente, già allora con decreto legge, i cosiddetti rave party. Al pari dell’Associazione nazionale magistrati, l’Associazione italiana dei professori di diritto penale, ricorda che con l’ultimo provvedimento di urgenza “vengono introdotti (…) almeno quattordici nuove fattispecie incriminatrici e inasprite le pene di almeno altri nove reati. Le condotte oggetto di criminalizzazione appaiono, nella quasi totalità dei casi, espressive di marginalità sociale o di forme di manifestazione del dissenso con interventi che (…) risultano per diversi profili di dubbia compatibilità con svariati principi costituzionali, compresi quelli di necessaria offensività, sussidiarietà e proporzione”. Dal canto suo l’Unione delle Camere penali qualifica il decreto legge come permeato da “visione securitaria e carcerocentrica”, pronosticando quale conseguenza il progressivo sovraffollamento e degrado del mondo carcerario. Gli 83 suicidi avvenuti nel 2024 cui seguono i 22 del primo trimestre di quest’anno rendono vieppiù allarmante questo scenario.

Nelle scelte in materia penale – fortemente presidiate dalla Costituzione – Parlamento e Governo dovrebbero bilanciare gli interessi in gioco – del singolo, della società e delle istituzioni –, mantenere la coerenza dell’intero sistema e confrontarsi con le effettive capacità sia di amministrare la giustizia che di eseguire le pene nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. È un equilibrio che riesce difficile trovare in non pochi passaggi del decreto-legge. Valgono in proposito due soli esempi. Il primo: il neo delitto di occupazione abusiva di immobile destinato a domicilio viene ora sanzionato al pari dell’assai più grave omicidio colposo da inosservanza delle norme antinfortunistiche. Il secondo: l’altrettanto nuovo delitto di rivolta in un istituto penitenziario può essere integrato, anche dalla resistenza passiva agli ordini dell’autorità. Nel dicembre 2024 il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa esprime riserve sul disegno di legge in corso di discussione. E proprio in merito alla fattispecie di rivolta, ricorda come a norma della Convenzione europea dei diritti dell’uomo i detenuti continuano a godere di quel diritto di libertà d’espressione che può coprire talune forme di pacifica protesta, inclusa la resistenza passiva.

Senza troppe illusioni, tocca ora al Parlamento dar prova di consapevolezza circa i limiti dello strumento penale, di senso della misura nella previsione dei reati e delle pene nonché di rigore nella redazione delle norme. Anche di tutto ciò lo Stato di diritto del nostro Paese ha bisogno.