Dalla diffidenza alla sorellanza 

due donne stilizzate, una aiuta l'altra a non cadere da un dirupo

Donne rivali, donne in competizione, donne invidiose e sleali tra loro: ne sono piene le fiabe, ne sono piene le cronache. Ma è davvero inevitabile che il rapporto tra le donne sia basato sui più spietati principi della concorrenza? La verità è che si tratta di un condizionamento culturale. Per millenni le donne sono state educate a vedersi come rivali: in famiglia, nel lavoro, negli affetti. Un retaggio culturale che ha alimentato la diffidenza reciproca, impedendo spesso la nascita di legami autentici e solidali. Eppure, dietro questa costruzione sociale si cela una verità più profonda: la sorellanza non è solo possibile, ma necessaria.

Negli ultimi decenni, grazie ai movimenti femministi e a una maggiore consapevolezza collettiva, sempre più donne hanno riscoperto la forza dell’alleanza. La competizione imposta può lasciare spazio alla complicità, alla condivisione e al sostegno reciproco. Il passaggio dalla diffidenza alla sorellanza non è solo un atto di resistenza, ma una rivoluzione silenziosa che cambia il modo in cui le donne vivono il mondo e lo trasformano. La solidarietà femminile è sempre stata fondamentale nella storia, anche se spesso è stata sottovalutata o nascosta dai racconti ufficiali. Sta diventando oggi un motore di cambiamento, e più che mai è fondamentale riscoprirla e coltivarla.

Fin dall’antichità, le donne si sono sostenute a vicenda per affrontare le sfide imposte dalla organizzazione patriarcale della società, trovando nella condivisione e nell’aiuto reciproco un modo per resistere e prosperare. Nelle società matrilineari preistoriche, la cooperazione tra donne era alla base della comunità. In epoche successive, nonostante le restrizioni imposte dalle norme sociali, sono emerse forme di sostegno silenzioso ma potente: dalle levatrici che trasmettevano conoscenze sul parto e la salute femminile, alle monache medievali che offrivano rifugio e istruzione alle donne escluse dalla società, fino alle figure di guaritrice ed erborista, ma è solo a partire dal XIX e XX secolo che la solidarietà femminile è diventata un motore di cambiamento politico e sociale. Le suffragette, unendo le forze oltre le differenze di classe e nazionalità, hanno lottato per il diritto di voto. Le operaie delle fabbriche si sono organizzate per migliori condizioni di lavoro. I gruppi femministi del secondo dopoguerra hanno creato spazi di autodeterminazione e consapevolezza, dando vita a battaglie per i diritti civili, la parità salariale e il riconoscimento della violenza di genere.

Oggi, la sorellanza continua a manifestarsi in molte forme: dalle reti di supporto tra madri lavoratrici, ai movimenti globali come MeToo, che hanno dato voce a milioni di donne. La storia dimostra che la solidarietà femminile è una forza rivoluzionaria capace di cambiare il mondo.

Tuttavia siamo cresciute in una temperie culturale che ci ha insegnato la diffidenza: un fenomeno complesso che può essere analizzato alla luce dell’elaborazione del pensiero femminista, che ha evidenziato come il patriarcato abbia storicamente incentivato la rivalità femminile per mantenere le donne divise e quindi più deboli politicamente, e conservare lo scettro del controllo sociale.

LA COMPETIZIONE INDOTTA DAL PATRIARCATO

L’assetto culturale di matrice patriarcale ha spesso alimentato la competizione tra donne, riguardo ai canoni estetici, all’attenzione maschile, al ruolo familiare, al successo lavorativo e al riconoscimento sociale. Simone de Beauvoir, ne “Il secondo sesso”, descrive come le donne siano state educate a vedersi come rivali anziché alleate, perché il loro valore è stato tradizionalmente definito in relazione agli uomini. La teoria femminista della “sindrome dell’ape regina” spiega come alcune donne, una volta raggiunto il potere, possano interiorizzare il sessismo e ostacolare altre donne, temendo la perdita del proprio status, tanto che le donne in posizioni di leadership a volte sono più critiche nei confronti delle congeneri, per paura di perdere i privilegi guadagnati tra mille fatiche.

La cultura patriarcale ha incentivato l’attribuzione di caratteristiche negative alle donne, specialmente a quelle di potere: inaffidabili, manipolatrici o gelose. Da Eva a Circe, fino alla “femme fatale” del cinema, l’immaginario collettivo è stato indotto ad associare le donne alla perfidia e al tradimento, tanto che la sfiducia reciproca si è man mano radicata nelle relazioni al femminile. Per millenni le donne non hanno potuto godere delle condizioni minime di autonomia e libertà necessarie per creare reti di potere e di supporto reciproco. Mentre gli uomini hanno avuto accesso a spazi esclusivi di solidarietà (lavoro, sport, corporazioni, logge, ambienti di potere politico ed economico), le donne sono state confinate nella sfera privata, dove si trovavano a competere per contrarre un matrimonio vantaggioso, unica garanzia per migliorare lo status sociale.

Anche la maggior parte dei contenuti dei media e dei social network fanno la loro parte: reality show, gossip e narrazioni tossiche amplificando la rivalità tra donne, alimentano il girl-on-girl hate. La competizione per raggiungere più visibilità, più like e più validazione esterna può accentuare sentimenti di sfiducia e confronto costante.

L’interiorizzazione del sessismo su cui è fondata la cultura patriarcale ha anche impedito alle donne di accettare e riconoscere la leadership di un’altra donna. La ricerca femminista ha dimostrato che il patriarcato non è solo un sistema imposto dall’alto, ma anche un’ideologia che viene interiorizzata. Le donne crescono in una società che per secoli ha associato il potere e l’autorità al maschile. Questa educazione patriarcale porta molte donne ad attribuire automaticamente a un leader uomo un quoziente molto maggiore di legittimità e competenza.

Virginia Woolf, in “Una stanza tutta per sé”, parlava del “guardiano interiore”, ovvero quella voce introiettata che impedisce alle donne di vedersi (e vedere le altre donne) come degne di potere. Questo porta alcune donne a diffidare delle leader femminili più di quanto farebbero con i leader uomini e, se raggiungono posizioni di potere, a porsi in conformità al modello maschile di leadership: per essere accettate in ambienti dominati dagli uomini, alcune donne tendono a replicare modelli di leadership autoritari e distaccati, allontanandosi dalla sorellanza, come amaro risultato di un sistema che le ha messe in competizione tra loro. Ma conta anche la storica assenza delle donne in ruoli di comando: la leadership femminile viene percepita come “inusuale” o “meno efficace”, mentre il linguaggio sessista e i media contribuiscano a rafforzare questa percezione. “Aggressiva” o “fredda”, viene definita una donna di potere, mentre un uomo con le stesse caratteristiche è descritto come “determinato” e “carismatico”. Il contesto politico e quello aziendale sono costruiti su valori tradizionalmente maschili (competitività, aggressività, individualismo), che rendono difficile alle donne esercitare la leadership secondo un modello diverso. La difficoltà nell’accettare una donna leader non è un problema individuale, ma il risultato di secoli di condizionamento culturale. Il femminismo offre strumenti per smantellare queste dinamiche e costruire un nuovo modello di leadership, più inclusivo e solidale.

Si fa qualcosa di più della semplice resistenza, si fa della vera rivoluzione, scoprendo la sorellanza: la necessaria, importante, solidarietà tra donne (Natalia Aspesi).

COME OLTREPASSARE QUESTA DIFFIDENZA?

Una volta ottenute pari opportunità, e il riconoscimento concreto della libertà sul proprio corpo, del diritto allo studio e al lavoro, le vie sono tante, tutte faticose e difficili, ma per le donne liberarsi di questo condizionamento culturale è fondamentale per riprendere in mano il potere del gruppo, il sostegno reciproco e la forza di pressione del numero.

Il primo passo è decostruire gli stereotipi: riconoscere che la rivalità è stata imposta culturalmente e che la soggettività femminile è, al pari di quella maschile, una soggettività piena, che si esplica sia nella sfera privata che in quella pubblica, e si costruisce attraverso la solidarietà e i legami tra pari.

Il secondo passo è la pratica attiva della sorellanza: creare reti di supporto tra donne, valorizzare i successi delle altre e riconoscere le altre donne come alleate anziché come minacce.

Il terzo passo è riconoscere la competenza e il potere di una donna, e ridefinire i modelli di leadership, promuovendo uno stile più collaborativo, basato sulla solidarietà e sul riconoscimento delle competenze, piuttosto che sulla gerarchia rigida.

Il quarto passo è costruire solide reti di supporto femminile: la mentorship tra donne è fondamentale per superare la competizione e favorire una cultura di sorellanza nel mondo del lavoro.

Il passaggio più difficile è riconoscere l’intersezionalità. Si tratta di saper leggere le diverse esperienze di oppressione e far base sul fatto che la sorellanza deve includere tutte le donne, indipendentemente da classe, etnia, orientamento sessuale o abilità.

Le donne non si fidano delle donne perché sono state educate a non farlo, ma il femminismo sta lavorando per cambiare questa narrativa. La fiducia femminile può essere recuperata attraverso la consapevolezza, il sostegno reciproco e la costruzione di nuove forme di solidarietà.

Aiutarsi l’una con l’altra, fa parte della religione della sorellanza (Louisa May Alcott).

COSTRUIRE LA SORELLANZA

La sorellanza non è solo un legame tra donne, ma un movimento collettivo per la giustizia sociale. Implica una rete di solidarietà attiva nella lotta contro le ingiustizie e nel riconoscere l’intersezionalità delle esperienze femminili, nel riconoscere il valore delle differenze come fonte di ricchezza e forza, e accettare che ogni donna porti con sé esperienze uniche, che possono essere fatte crescere e valorizzate all’interno di spazi sicuri, comunità di supporto,  spazi per discutere e attivare iniziative rafforzando la solidarietà tra donne, ambienti per esprimersi liberamente senza paura di giudizi o violenze. Implica l’inclusività, accogliere donne di tutte le etnie, età e condizioni sociali, comprese le donne transgender, per costruire una comunità unita, che garantisca il supporto reciproco tra donne, affrontando insieme le ingiustizie e le discriminazioni. Implica la costruzione di legami empatici, dove coltivare la comprensione e la connessione emotiva tra donne è essenziale per allacciare relazioni forti. Implica il prendersi cura, l’impegno nella cura del pianeta e delle creature che lo abitano, contribuendo a un futuro di pace e giustizia sociale.

Per costruire le condizioni della sorellanza è indispensabile un progetto di educazione continua, un’educazione femminista che risvegli nelle giovani generazioni (ragazze e ragazzi) la sensibilità ai diritti di genere e alle ingiustizie sociali, la lucidità per contrastare le norme oppressive, sviluppando una consapevolezza critica sui valori della sorellanza e sull’importanza della solidarietà politica.

Serve collaborazione intergenerazionale, serve il dialogo tra le diverse generazioni di donne, dove le più giovani possano apprendere dalle esperienze dalle più anziane.

Servono nuove narrazioni, incoraggiare la creazione di storie e rappresentazioni positive delle donne, contrastando quelle tradizionali che perpetuano stereotipi. Attraverso arte, letteratura e media, le donne possono raccontare le proprie esperienze in modi che sfidano le aspettative sociali.

La sorellanza può influenzare le politiche pubbliche da varie angolature, contribuendo a creare un ambiente più inclusivo e sensibile alle esigenze delle donne.

Servono forme di attivismo visibili, creare una cultura evidente di resistenza contro le norme sessiste, azioni simboliche che aiutino a immaginare una comunità più coesa e a portare in prima pagina le problematiche di genere. È indispensabile costruire alleanze, creare sinergie con altri soggetti sociali, ampliando le reti di supporto e solidarietà. Advocacy e sensibilizzazione possono mobilitare le donne nelle reti di sorellanza per sostenere cause comuni, aumentando la visibilità delle questioni di genere nelle agende politiche, possono influenzare l’opinione pubblica e spingere i decisori politici ad affrontare le problematiche legate alla disuguaglianza di genere. E occorre lavorare per una partecipazione attiva alla governance. Se le donne sono parte attiva nei processi decisionali e nella governance, la sorellanza può contribuire a garantire che le politiche pubbliche riflettano le esigenze e le esperienze delle donne. La presenza femminile nelle istituzioni è fondamentale per sviluppare politiche più inclusive e per contare di più nel gender mainstreaming. L’integrazione della prospettiva di genere nelle politiche pubbliche è essenziale; la sorellanza può aiutare a garantire che le politiche siano progettate tenendo conto delle diverse esperienze delle donne, contribuendo a decostruire stereotipi e a promuovere l’inclusione.

La sorellanza, nel mettere in discussione e trasformare le formule di genere tradizionali, non solo sostiene il movimento femminista, ma può diventare un potente strumento per far evolvere le politiche pubbliche, promuovendo un futuro più equo non solo per tutte le donne, ma per l’intera comunità sociale.

Non credo che la casualità della nascita renda le persone sorelle o fratelli; sorellanza e fratellanza sono una condizione che le persone devono coltivare (Maya Angelou).