Autorità sui corpi

Nella pagina social di una psicoterapeuta molto seguita che diffonde pillole di educazione psicologica attraverso brevi video o messaggi, è stato lasciato un commento che ha suscitato una vivace discussione. La dottoressa spiegava come in una coppia non si ha diritto di decidere come l’altro debba vestirsi per uscire o chi possa o no vedere. L’interlocutore, animato da sacro zelo, le ricordava come il matrimonio fosse un’istituzione morale guidata da valori che nella Bibbia sono ben altri. Citava a questo punto Paolo che afferma «chiaramente» come il corpo della moglie appartiene al marito e il corpo del marito appartiene alla moglie, concludendo che le affermazioni della psicologa fossero «lavoro di Satana» con l’effetto di rovinare i matrimoni.

Le reazioni degli altri utenti si concentravano non tanto sul pensiero espresso nel commento quanto si dividevano fra chi accusava in blocco la Bibbia, i cristiani, la Chiesa, di corresponsabilità riguardo tanti abusi fisici e psicologici in famiglia e chi da credente prendeva nettamente le distanze e difendeva l’insegnamento paolino e il pensiero in proposito della maggioranza (sana) dei cristiani.

È veramente così chiaro il pensiero di Paolo in 1Cor 7,4 che viene citato?

PAROLE E CONTESTI

In un contesto culturale patriarcale, questo versetto potrebbe effettivamente essere interpretato come una giustificazione per il dominio maschile all’interno del matrimonio. Una lettura superficiale ma ancora molto rappresentata potrebbe suggerire che la moglie non ha alcun diritto sul proprio corpo, perdendo così la sua autonomia personale; che il marito/compagno ha pieno controllo sul corpo della moglie, potenzialmente legittimando abusi o coercizione sessuale; che c’è una disparità di potere intrinseca nel matrimonio. Se si ritiene che posizioni così radicali non sarebbero oggi espresse così esplicitamente dovremmo piuttosto fare riferimento ai “segnali” di questa visione fatti, come suggeriva la dottoressa, di parole svalutanti o controllanti, giustificate con un presunto amore geloso. Si vedano in proposito i testi di molte canzoni di trapper ascoltati dai nostri adolescenti o il significativo film “Mia” (2023) di I. De Matteo.

Il testo greco recita: «ē gynē toῦ ἰdiou sōmatos oὐk ἐxousiazei allà ὁ anēr, ὁmoiōs dè kaὶ ὁ anēr toῦ ἰdiou sōmatos oὐk ἐxousiazei allà ē gynē».

Il versetto è costruito con un parallelismo chiasmatico, dove la seconda parte rispecchia la prima, invertendo i ruoli di marito e moglie. Questo sottolinea la reciprocità di quanto Paolo insegna, presente in tanti altri passi dell’epistolario e mai sufficientemente sottolineata. In particolare ci sono alcuni termini chiave:

a) exousiazei deriva da exousia, che significa “autorità”, “diritto”;

b) somatos è genitivo di soma, “corpo”: nel pensiero paolino, il corpo non è solo l’entità fisica, ma rappresenta la persona intera;

c) idíou significa “proprio”: il corpo resta proprio anche se affidato/consegnato.

Il versetto fa parte di una sezione più ampia (1Cor 7,1-40) in cui Paolo risponde a domande specifiche della comunità di Corinto su matrimonio e sessualità.

Nel periodo patristico Giovanni Crisostomo (347-407 d.C.) interpretò questo versetto come un’indicazione della completa unione e uguaglianza nel matrimonio, enfatizzando la reciprocità, mentre Agostino d’Ippona (354-430 d.C.) introdusse il concetto di “debito coniugale” pur sottolineando la mutualità dell’obbligo. Nel XIII sec. Tommaso d’Aquino sviluppò il concetto di “ius in corpus” (diritto sul corpo), interpretando il versetto come base per il mutuo consenso necessario per la validità del matrimonio; Martin Lutero (1483-1546) lo usò per promuovere una visione positiva della sessualità coniugale e per criticare il celibato forzato.

Il parallelismo e la reciprocità del versetto sono cruciali per la sua corretta interpretazione, sfidando letture e soprattutto prassi unilaterali. Le interpretazioni contemporanee a partire da esegeti come Elisabeth Schüssler Fiorenza hanno letto il versetto come un’affermazione rivoluzionaria dell’uguaglianza nel matrimonio, considerando il contesto patriarcale dell’epoca di Paolo (e anche delle epoche successive). Oggi si tende a enfatizzare l’aspetto della donazione reciproca e del consenso mutuo, piuttosto che un “diritto” legalistico sul corpo dell’altro, ma “dono” e “consenso” devono essere declinati con attenzione.

RESPONSABILITÀ E FIDUCIA

Quando Paolo utilizza il termine exousia lo fa pensando a un “diritto” che implica responsabilità e reciprocità. Molte considerazioni analoghe possono essere fatte per il passo di Efesini 5,15-33, regolarmente frainteso, e tenendo conto del fondamentale testo di Gal 3,28 che afferma l’uguaglianza in Cristo. Paolo dunque suggerisce un’unione profonda tra marito e moglie che non cancella le loro individualità, fatte di amicizie, spazi personali, interessi da coltivare, ma le integra in una nuova realtà. Non c’è rigidità nel definire quanto degli spazi personali possa essere condiviso con l’altro. Cancellare l’individualità in nome dell’unione è pericoloso perché la persona che si annulla, perde contatto con la realtà e con la profondità di sé. D’altra parte è ovvio che se si percepiscono le proprie esigenze come assolute senza rinunciare volontariamente a una parte della propria autonomia proprio per costruire e custodire il “noi”, ci si allontana irrimediabilmente e l’essere insieme per un progetto condiviso viene vanificato.

Il versetto implica allora una grande responsabilità per entrambi i coniugi di prendersi cura della totalità dell’altro, compreso il benessere fisico ed emotivo, con rispetto e considerazione, passando per una comunicazione aperta tra i partners, specialmente riguardo l’intimità fisica. La donazione di sé come affidamento all’altro sul modello di Cristo può essere fonte di grande gioia e sostegno nel cammino della vita. L’accoglienza dell’altro/a non giustifica in alcun caso il controllo o la sottomissione, nemmeno riguardo il guardaroba, ma offre una prospettiva profondamente trasformativa delle relazioni umane.

Se per secoli e millenni il corpo delle donne è stato visto come sotto l’autorità maschile, prima paterna, poi coniugale, si vede come l’invito di Paolo sia una grande evoluzione. È rilevante come persino nelle forme di vita consacrata femminile (quindi in assenza della figura del marito), sia l’istituzione a dare in modo più o meno vincolante norme per l’abbigliamento e l’estetica, le frequentazioni, gli spazi accessibili… mostrando scarsa fiducia e rispetto per la singolarità personale. Tutto questo tuttavia non sarebbe possibile se le donne stesse non fossero abituate a interpretare sé stesse alla luce di questa visione: la critica alla proposta della psicologa veniva infatti da una lettrice!