Riflessioni
AFRICA: le guerre dimenticate

Non c’è regione del mondo che possa disinteressarsi della conquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump, e tanto meno può farlo l’Africa, eterna Cenerentola dello sviluppo mondiale, nel contempo al centro di tensioni e conflitti di natura politica, economica ed etnica, per lo più sconosciuti all’opinione pubblica, che ne rendono fortemente precarie le prospettive di crescita e di giustizia sociale per la sua popolazione passata da 238 milioni di abitanti nel 1960, a oltre 1,5 miliardi lo scorso anno. È probabile che non molti lettori abbiano avuto l’opportunità in questi anni recenti di riflettere sulle guerre che hanno avuto, e hanno, per teatro le regioni subsahariane particolarmente ricche di materie prime, dove abbondano le cosiddette ‘terre rare’ e ingenti riserve di petrolio. Sarà anche perché da circa tre anni i media di tutto il mondo si sono dedicati ad informarci quasi solo sull’andamento di ‘due guerre’ – Ucraina/Russia e Israele/palestinesi-Gaza – che hanno tenuto a ragione con il fiato sospeso la politica e gli ambienti economici e finanziari. Solo di recente, al prezzo di gravi perdite umane e materiali, questi due conflitti sembrano aver trovato, se non ancora una soluzione, un possibile sbocco diplomatico per limitare i danni, pensare a possibili ricostruzioni, e non obbligare i cittadini di mezzo mondo a sopportare i riflessi negativi degli enormi investimenti bellici che hanno determinato quasi ovunque il rincaro di alimenti, gas e elettricità.
Il proposito qui è di evidenziare però che accanto alle due note guerre citate, ne esistono nel pianeta molte altre, in particolare due in Africa – Repubblica democratica del Congo e Sudan – di cui ci si occupa solo con aiuti umanitari da parte di organismi internazionale, molti comunicati di appelli alla tregua inascoltati, e con imprese del mondo sviluppato che sfruttano da decenni, con complicità locali, le materie prime di cui il Continente Nero è ricco. Anticipando un esempio di questo, vale la pena sapere che la regione orientale del Congo democratico denominata Kivu, teatro di una feroce guerra, è ricca di innumerevoli minerali preziosi (oro, argento, rame e diamanti), ma soprattutto delle ricercatissime ‘terre rare’ di cui tre, denominate 3T, sono stagno (‘tin’ in inglese), tungsteno e tantalio estratto dal coltan, e fondamentale per la produzione di componenti elettronici di telefoni cellulari, schermi per computer e tv e auto elettriche. Questa crisi, e l’altra pure molto cruenta e lunga nel Sudan, sono le più clamorose di questi anni anche se, ci ricorda l’Accademia dei diritti umanitari internazionali e dei diritti umani di Ginevra, “c’è molto, molto di più di cui preoccuparsi”. “L’Africa – spiega la presentazione di un seminario che si svolgerà nel secondo semestre di quest’anno nella città svizzera – è al secondo posto per numero di conflitti armati per regione (dopo l’Asia, ndr), con oltre 35 permanenti scontri armati non internazionali (Niac) in corso, oltre che nei due Paesi qui presi in esame, anche in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Mali, Mozambico, Nigeria, Senegal e Somalia. Diversi gruppi armati che combattono contro le forze governative, e/o tra loro, si dice infine, “sono coinvolti in questi conflitti” e “le potenze occidentali e/o i Paesi confinanti stanno intervenendo in particolare nei Niac che si svolgono in Burkina Faso, Mali, Mozambico, Nigeria e Somalia”.
L’ARRIVO DI TRUMP E LE CONSEGUENZE IN AFRICA
Ma ancora una volta dobbiamo avvertire che l’arrivo di Trump alla guida della prima potenza economica e militare del mondo richiede subito una profonda riflessione per le possibili conseguenze di esso per l’Africa dove, sorprendentemente, non è mancata una approvazione per la sua vittoria elettorale. Vari analisti spiegano che questo è dovuto al fatto che il tycoon prestato alla politica “ha mostrato di non preoccuparsi troppo, per le sue decisioni, elementi fondanti della storia dell’Occidente, come il rispetto della democrazia e delle libertà”. In un continente dove i regimi autoritari e militari non mancano, e tenendo conto che fra il 2013 e il 2021 si sono avuti 22 colpi di Stato riusciti o tentati (di questi 13 dal 2021 ad oggi), l’atteggiamento spregiudicato del leader conservatore, può in fin de conti non dispiacere. Ma purtroppo per l’Africa le ricadute negative sono già visibili, provenienti da più fronti. L’ordine di sospensione per tre mesi dell’assistenza estera Usa ha avuto un impatto sull’Agenzia per lo sviluppo internazionale (Usaid), che ha fornito quasi 6,6 miliardi di dollari in assistenza umanitaria all’Africa subsahariana solo nel 2024. L’organizzazione è stata ora commissariata e affidata ad interim al segretario di stato Marco Rubio per una quasi certa chiusura. In quella assistenza c’erano anche 450 milioni di dollari a sostegno di varie iniziative sanitarie sudafricane. Ma c’è di più, Trump ha anche firmato un decreto esecutivo congelando ogni aiuto finanziario allo stesso Sudafrica, nazione che ha dato i natali al suo braccio destro, Elon Musk, con l’accusa al governo del presidente Cyril Ramaphosa di avere promulgato una legge che permette la confisca di terre della popolazione bianca, e anche di essersi reso protagonista davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) di gravi accuse nei confronti di Israele.
CONGO E SUDAN
Per comprendere il conflitto in atto Congo, che dura da oltre tre anni, si deve tenere conto che esso affonda le sue radici alla Prima guerra congolese (1996-1997), che portò alla destituzione del presidente Mobutu Sese Seko, seguita l’anno dopo da una Seconda guerra durata fino al 2003. Si concluse con la firma di un fragile Accordo a Pretoria che permise il ritiro di uomini armati di ben nove diverse nazioni. In quegli anni morirono 5,4 milioni di persone, per cui gli storici considerano che si sia trattato del più cruento conflitto al mondo dopo la Seconda guerra mondiale. Gli scontri in questa regione non sono mai veramente terminati, mentre nasceva e si consolidava il movimento guerrigliero M-23 che, con il sostegno del vicino Ruanda, è entrato in modo permanente nella regione orientale congolese, occupando la città di Goma, capitale del Kivu settentrionale, con l’obiettivo di mettere le mani sulle preziosissime ‘terre rare’, che poi il governo ruandese commercia come sue, anche con l’Unione europea (Ue). Oltre a questo aspetto economico, è imprescindibile sapere che l’altra chiave di lettura è etnica, perché nella prima metà del 1994, la maggioranza ruandese hutu realizzò un vero e proprio genocidio, uccidendo il 70% della popolazione tutsi del Paese. Ma oggi là è presidente da 30 anni Paul Kagame, che appartiene proprio alla minoranza tutsi, come sono tutsi anche i membri dell’M23 che combattono le forze hutu in Congo.
Vale anche per le decennali tensioni militari in Sudan, dove si sono avuti due colpi di Stato (2019 e 2021) con la duplice motivazione economica (riserve petrolifere del Dafour) ed etnica (scontri fra la parte araba sudanese e i ‘black africans’). Senza poter approfondire la Guerra Mahdist (fra sudanesi e anglo-egiziani) della fine del 19/o secolo, o la quasi ventennale Guerra in Darfur (2003-2020), diremo che dall’aprile 2023 il Sudan, e la sua capitale Karthoum, sono teatro di una battaglia, senza esclusione di colpi (esecuzioni extra-giudiziarie, violenze sessuali, torture, migliaia di morti e un fiume di sfollati). Essa vede di fronte da un lato le forze armate regolari guidate dal generale Abdel Fattah al Burhan, che è anche presidente de facto del Paese, e dall’altro le Forze di supporto rapido (Rsf), gruppo paramilitare agli ordini del generale Mohamed Hamdan Dagalo, emerso dalle milizie janjaweed che hanno combattuto i ribelli del Darfur, per essere poi accusati di ‘pulizia etnica’. In soli dieci mesi, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) si sono registrati 6,27 milioni di sfollati su una popolazione di 46 milioni, arrivando in tutto ad una cifra storica di 10,7 milioni di sfollati, di cui nove all’interno del Paese.