Un romanzo ecologico e postcoloniale
Extracanone
Un tempo si sarebbe detto che “La maledizione della noce moscata” è un esempio di letteratura militante, terzomondista; in tempi più recenti questo libro sarebbe stato ascritto agli studi postcoloniali e culturali per il suo carattere di denuncia, di testimonianza e di memoria; oggi, con un termine politicamente meno impegnato, possiamo dire di trovarci di fronte a un caso di docufiction, perché se è vero che il grande scrittore indiano Amitav Ghosh scrive, a tutti gli effetti, un romanzo, vero è pure che il punto di partenza è un fatto realmente accaduto, e cioè il massacro con cui i conquistatori olandesi nel 1621 misero fine all’esistenza del villaggio bandanese di Selamon tra l’Oceano Indiano e il Pacifico.
“Se accantonassimo la mitizzazione della modernità, che fa apparire gli uomini trionfalmente liberi dalla dipendenza materiale del pianeta, e riconoscessimo che siamo ogni giorno più schiavi dei prodotti della terra, allora la storia dei bandanesi non sembrerebbe più così distante dalla condizione attuale. Al contrario, la continuità sarebbe così pressante e ponderosa che nel destino delle isole Banda si potrebbe addirittura vedere una prefigurazione del presente, se solo sapessimo raccontarne la storia”.
Si tratta di uno dei tanti episodi, particolarmente cruento, del colonialismo occidentale che diventa l’occasione per svolgere due riflessioni fondamentali: la prima sulla persistenza nel nostro mondo, benché in forme evolute, subdole e mascherate, del pregiudizio e del razzismo, e la seconda sullo sfruttamento del pianeta, che è una prosecuzione del colonialismo con altri mezzi, visto che danneggia soprattutto i più deboli.
La noce moscata, di cui i bandanesi nel 1600 erano i principali coltivatori, al punto da scatenare le mire delle principali potenze coloniali, sono oggi le fonti energetiche che una modernità esausta, indifferente ai danni ambientali, ancora subalterna al mito della crescita illimitata e del progresso ottocentesco, fa di tutto per accaparrarsi, costruendo nel contempo un discorso pubblico che vuole delegittimare i movimenti ambientalisti e i sostenitori delle energie pulite e rinnovabili. È questa, per dirla con Marx, l’ideologia dell’industrialismo.
Ghosh rimette al centro la voce dei vinti, di quelli del passato e di quelli di oggi, e una volta tanto, avvalendosi di fonti documentarie marginali, riscrive la storia da una prospettiva ecologica e postmoderna.