Un nastro per Gaza

Seguendo le rassegne di mostre e iniziative artistiche cartacee e on-line, l’attenzione dedicata all’effimero, spesso all’inutile o all’economicamente vantaggioso (anche se è doloroso esprimere un giudizio morale sull’arte) da parte degli artisti, è assolutamente prevalente.

La bellezza forse avrà difficoltà a salvare il mondo, con buona pace di Dostoevskij, così come l’arte e gli artisti, finora piuttosto inerti di fronte alla sconfinata sofferenza di cui sono intrise quelle rovine, non salveranno Gaza, ma ogni tanto qualcosa accade. Come l’iniziativa partecipata, contemporaneamente umile e di straordinarie dimensioni, che cerca di trasformare il dolore in un certificato che testimonia concretamente di fronte agli occhi e alle coscienze del mondo lo strazio: un nastro di stoffa lungo quasi seimila metri, realizzato da centinaia di volontarie e volontari con i nomi delle giovani vittime della tragedia ricamati o dipinti, a proclama del presente e a futura memoria. 

Due mesi si sono dati le ideatrici del progettoCristina Pedrocco titolare di Atelier sul Brenta, uno studio di sartoria ed Elena Gradara textile colorist impegnata sul versante della moda sostenibile, estendendo l’invito ad una miriade di artiste/i e artigiani tessili, associazioni e persone comuni messisi insieme per l’occasione, per ‘gridare’ sulla stoffa nomi e cognomi delle migliaia di vittime bambine. Una sorta di monumento collettivo, prodotto da volontà e sensibilità trasversali. La call for artists Artisti tessili per Gaza, lanciata il 2 settembre 2025 su Instagram, ha raccolto centinaia di adesioni da tutta Italia. La consegna è semplice: 60 giorni per scrivere, ricamare o dipingere i nomi degli innocenti – già duemila anni or sono avvenivano su quei territori efferatezze analoghe – su piccoli pannelli di stoffa bianca, ciascuno di 25×10 centimetri. Oltre ventimila i nomi noti delle piccole vittime dell’eccidio, del genocidio, della carneficina, comunque la si voglia definire, per quegli esseri e per i loro cari poco cambia.

Il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, Al Jazeera e The Washington Post parla di sessantamila vittime di cui un terzo, appunto, minori morti per bombardamenti, colpi d’arma da fuoco, seppelliti dalle macerie e carestia. Circa mille bambini non avevano ancora compiuto un anno.

L’installazione, una volta completata, verrà stesa in varie piazze italiane per essere poi collocata in un museo o in un qualsiasi altro contenitore degno, con lo scopo di svolgere una funzione evocativa perpetua.

Un sommesso ma intenso grido di denuncia dell’emergenza umanitaria, della inumana violazione dei diritti civili e non solo e dell’inerzia degli stati cosiddetti democratici, indifferenti se non a parole.

Gli schemi che irrigidivano la produzione artistica sono da tempo saltati e ciò ha consentito di eseguire un lavoro come questo ed essere oggetto di attenzione, magari anche di incidere sulle decisioni politiche. Perché l’arte autentica difende la vita umana, la ragione, la logica e il diritto. Senza proclami, con ogni sua fibra, perché le è consustanziale. L’arte ‘è’ la vita, non il suo contrario.
Su un versante diverso, ma idealmente unito dall’intento affine, la Biennale di Gaza avviata nel 2024 dall’artista Tasneem Shatat e dal collettivo Forbidden Museum, rappresenta, come dichiarano gli organizzatori della mostra «un appello al mondo, agli artisti e alle istituzioni culturali, perché si schierino in solidarietà con gli artisti palestinesi, li sostengano e lavorino insieme per garantire che le loro voci e le loro storie restino presenti, e che le loro opere rimangano una testimonianza di lotta e resilienza». Una biennale atipica, policentrica, alla ricerca di sostegno e solidarietà civile, umana e geografica, che si manifesta ovunque ci sia uno spazio che amplifichi la voce di Gaza, dall’Europa agli Stati Uniti, unendo mostre geograficamente lontane, frammenti di un’unica esposizione collettiva. Atene, Berlino, Londra, Valencia, New York, Istanbul, Padova e molte altre hanno ospitato l’arte palestinese. Essendole vietata la normalità, il nuovo modello che Gaza propone è una biennale senza centro, dispersa nell’altrove, visibile ovunque è accolta.

Questo fa sì che il nucleo non sia tanto costituito dalle opere, dal loro significato, dal loro valore, bensì dall’evento, che diviene il senso profondo, la lingua che grida e denuncia un ulteriore limite che al popolo martoriato è imposto dal conflitto. 53 al momento sono gli artisti che espongono e che meriterebbero ognuno un’attenzione specifica per i loro lavori, ma che si rendono disponibili a essere compresi in un unico gesto che diventa così l’opera d’arte.