Chiesa e teologia
Sarah Mullally Arcivescova di Canterbury. “Rispondere alla chiamata di Cristo”.

Vasta risonanza ha avuto negli ultimi giorni la nomina di Sara Mullally, già vescova di Londra, ad arcivescova di Canterbury e dunque primate della Chiesa Anglicana. La prima donna a ricoprire questo ruolo d’autorità così si è espressa nell’accogliere la prestigiosa nomina: «Nel rispondere alla chiamata di Cristo per questo nuovo ministero, lo faccio con lo stesso spirito di servizio verso Dio e verso gli altri che mi ha motivata fin da quando, da adolescente, ho abbracciato la fede». Non trovo in tali parole le classiche sfumature retoriche dell’autorità come servizio, che tante volte nella nostra Chiesa Cattolica celano la volontà di non cedere potere ad altri o, peggio, ad altre. Intravedo piuttosto la luce sia teologica che spirituale di una certezza: Cristo può chiamare anche le donne a ricoprire un ministero di massima autorità nella comunità dei credenti. E la domanda spontanea e apparentemente più difficile potrebbe essere: perché no?
Interrogarsi sui ministeri possibili per le donne, significa in realtà porsi domande sulla “forma” della Chiesa di cui facciamo parte, e il percorso lungo e laborioso che le Chiese Protestanti hanno compiuto al loro interno lo testimonia largamente. Tale forma riguarda anzitutto la struttura più o meno istituzionalizzata che i credenti si sono dati e il rapporto che intercorre tra l’individuo e l’istituzione stessa. Riguarda, inoltre, le pratiche decisionali e identitarie che si attuano al suo interno, più o meno gerarchiche, più o meno sinodali. La forma attiene, ancora, all’atteggiamento assunto nei riguardi dei processi culturali verso i quali si sceglie di essere permeabili oppure impermeabili. Non si può negare che le forme sinodali praticate in ambiente protestante e la sua apertura al dialogo con le istanze dei movimenti femministi abbiano avuto un’incidenza importante nelle scelte compiute nei confronti delle donne. Scelte che si sono configurate spiritualmente e teologicamente come capacità di riconoscere l’azione dello Spirito nel tempo presente attraverso i cambiamenti culturali. Quelli che tutti chiamiamo: “segni dei tempi”.
Tali cambiamenti non sono avvenuti in modo lineare né scontato, ma hanno richiesto la disponibilità dell’intera Chiesa a lasciarsi trasformare nei propri tratti identitari. Disponibilità non sempre concessa: per la stessa nomina di Sarah Mullally alcune comunità anglicane africane, ad esempio, hanno manifestato tristezza e delusione. Trasformarsi scrutando i “segni dei tempi” è una competenzache potremmo definire radicale, tanto è abbondante la portata d’acqua culturale e simbolica che, come un fiume, deve far fluire. A proposito di ciò, in un testo ricco e interessante, curato da Letizia Tomassone (pastora valdese), dal titolo “Donne di parola. Pastore, diacone e predicatrici nel protestantesimo italiano” (Nerbini 2020), redatto a più mani da 11 teologhe sia cattoliche che evangeliche, così scrive Serena Noceti: «L’ordinazione di pastore ha rappresentato un cambiamento sostanziale per il volto delle Chiese della Riforma, che ha interrotto e rimodulato prassi secolari e gli stessi processi di istituzionalizzazione di Chiesa, come anche le dinamiche di produzione di senso collettivo (sensemaking) intorno a una parola autorevole. Un potere di parola autorevole è accolto nelle Chiese, come essenziale per fare Chiesa insieme: con la proclamazione della Parola e la cura pastorale le donne entrano nella sfera di “produzione dell’economia dei beni simbolici” ecclesiali e vengono riplasmate le strutture cognitive della Chiesa intera […]. La presenza delle donne pastore è presenza visibile sui pulpiti, dietro agli altari; divengono evidenti (non più invisibili o ininfluenti) le identità corporee sessuate, delle une e degli altri […]. Con la consacrazione delle pastore (e dell’ arcivescova-primate della Chiesa d’Inghilterra, aggiungo io in questo caso) si è attivato quindi un lento ma irreversibile processo di riformulazione dell’istituzione Chiesa e della sua forma».