Chatbot, dimmi chi sei!

Nel mondo contemporaneo la tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui comunichiamo, lavoriamo, e persino il modo in cui ci prendiamo cura della nostra salute mentale. L’intelligenza artificiale, supporto ormai irrinunciabile della nostra vita e del nostro lavoro, offre, come ogni nuovo strumento, sia enormi opportunità che imprevedibili aree di rischio, e apre nuove prospettive, offrendo non solo risposte a vecchi bisogni, ma anche creando una nuova gamma di possibilità e perfino, forse, bisogni inediti, in particolare nel campo della salute mentale e del benessere psicologico.

Qui l’intelligenza artificiale (Ai) e i chatbot terapeutici stanno aprendo un’area del tutto innovativa nelle formule già consolidate del supporto psicologico. È poco più di un secolo che la psicologia ha studiato in modo specifico i bisogni umani relativi all’area psichica, per molto tempo è stata vista come un qualcosa di strano e poco scientifico, e solo negli ultimi decenni ha acquisito lo statuto di disciplina scientifica al servizio della salute psichica. E solo dopo la pandemia è stata vista finalmente come una risorsa preziosa da rendere accessibile a tutti. Su questa linea di sviluppo, che potremmo definire iperbolica, si collocano i chatbot, con l’offerta di una opportunità di accesso enormemente più ampia, in gran parte gratuita, da fruire in anonimato e con una immediatezza di disponibilità che nessun servizio pubblico o privato potrebbe mai garantire.

È arrivato quindi il momento di riflettere sugli importanti interrogativi che questi strumenti, pur preziosi, stanno ponendo rispetto ai limiti del rapporto di noi umani con la tecnologia, alle aspettative che si sviluppano da parte degli utenti e ai rischi che derivano dall’illusione di una relazione autentica.

Comprendere come e perché sempre più persone si rivolgano ai chatbot non solo per un sostegno psicologico ma anche in cerca di amicizia o affetto è fondamentale per un uso consapevole e responsabile di queste tecnologie.

CHATBOT, SFIDA PSICOLOGICA DEL TERZO MILLENNIO

L’esperienza psicologica umana del terzo millennio incontra un mondo dove la vita quotidiana è ormai digitalizzata, i ritmi del lavoro e perfino del tempo libero sono più frenetici di quanto sia mai avvenuto nei millenni precedenti, e ogni istante ci si trova confrontati con livelli crescenti di complessità esistenziale e sociale. È inevitabile quindi che crescano in frequenza e in intensità i vissutiti di ansia, stress, depressione e solitudine. Molte più persone, rispetto anche a solo 30 anni fa, hanno bisogno di essere ascoltate, di trovare un supporto immediato e di superare lo stigma legato alla salute mentale.

Le forme tradizionali di psicoterapia (è una tradizione che tutto sommato ha ancora una storia breve, ma è già parecchio diffusa e consolidata) rimangono insostituibili per la loro profondità e personalizzazione, ma gli oggettivi limiti di accesso hanno aperto spazi impensati all’integrazione di strumenti digitali, fra cui i chatbot terapeutici.

Possiamo definirli tecnicamente “agenti conversazionali” basati sulla intelligenza artificiale. Sono strumenti in grado di simulare una conversazione, poiché elaborano i messaggi in tempo reale tramite algoritmi e forniscono risposte basate su protocolli psicologici ormai diffusi e consolidati; esempi comuni di questo tipo di chatbot sono Woebot, Replika e Wysa. Ma anche semplicemente ChatGpt, come altri strumenti simili di immediato accesso, sono in grado di fornire risposte, sempre su base algoritmica, a quesiti personali di natura psicologica. Parecchi studi indicano ormai che questi strumenti possono essere d’aiuto nel ridurre sintomi di ansia e depressione, specie in giovani adulti.

I chatbot offrono un accesso illimitato, immediato e anonimo, e sono quindi adatti per abbattere barriere geografiche, temporali ed economiche. L’anonimato consente di esprimersi liberamente senza timore di giudizio, e questo è un fattore molto importante soprattutto per gli adolescenti, per alcune minoranze o per chi resta lontano dalla terapia face to face per vergogna, paura, resistenze personali.

Uno dei limiti più significativi risiede nell’ineliminabile circostanza che i chatbot operano su base statistica, con una comprensione empatica costruita in base all’algoritmo, e con una lettura clinica realizzata su base statistica, confrontata con gli elementi e i dati forniti unilateralmente dal soggetto che li interpella. È significativa quindi la possibilità di essere esposti a autodiagnosi errate, amplificazioni o minimizzazioni dei sintomi. Il cosiddetto “Eliza Effect” (da “Eliza”, uno dei primi tentativi, molti decenni fa, di simulare una seduta terapeutica con un algoritmo) costruisce l’illusione di un’intelligenza emotiva che manca realmente, e di conseguenza i bisogni terapeutici reali possono diventare confusi.

Un terapeuta umano offre un confronto vivo, empatico e personalizzato, soprattutto una capacità di confrontazione e stimolo personalizzato che è (tutt’ora?) irraggiungibile da un algoritmo. Resta il fatto che i chatbot possono essere utili alleati preliminari o complementari, perché possono essere buoni alleati nel tempo che intercorre tra le sedute e possono favorire l’approccio al trattamento psicologico o psicoterapeutico.

Comporta dei rischi anche la stessa condivisione di dati sensibili con chatbot. Anche con protezioni GDPR e crittografia, la tutela non è assoluta. Di fatto è essenziale scegliere piattaforme affidabili e soprattutto adottare un uso prudente, evitando di rivelare dati troppo personali, anche perché di là dallo schermo non c’è un terapeuta vincolato al segreto professionale, che subirebbe severe sanzioni, ma, non dimentichiamolo mai, c’è “solo” un algoritmo.

L’accesso costante, a tutte le ore del giorno e soprattutto della notte, è un fattore che da solo può creare dipendenza emotiva, ostacolando l’autonomia e la crescita personale. L’illusione di una presenza sempre disponibile, come un cibo già pronto sempre apparecchiato, rischia di sostituire relazioni umane complesse ma vitali per lo sviluppo personale. E la certezza di una qualche forma di ascolto, se in situazione di emergenza può fare davvero la differenza, oltrepassa invece, in situazioni meno drammatiche, tutta la possibilità di imparare a contenere e regolare le emozioni, di integrare la valenza di crescita dell’attesa e del limite, e abbatte la possibilità di costruire una competenza all’autosostegno.

ALLORA, CHE USO FARNE?

Vediamo insieme alcune possibilità molto reali e concrete.

Prima di tutto, consideriamo che molte persone usano dei chatbot come Replika o Woebot come compagnia digitale, trovando uno spazio sicuro per confidarsi, soprattutto chi si sente isolato o teme giudizi umani: un conforto, tanto immediato quanto incompleto, in condizioni di solitudine.

Anche le persone che seguono una psicoterapia trovano utile integrare la “terapia umana” con un chatbot, per monitorare le oscillazioni dell’umore, e magari ricondurle a vicende vissute, per svolgere un programma di esercizi come “compiti a casa”, per mantenere un senso di accompagnamento continuo: un sostegno nelle pause tra le sedute terapeutiche.

Parecchi adolescenti, la generazione nata con le interazioni digitali, che ha già molta familiarità con ogni formula di contatto on line, oltre a un numero crescente di adulti, in passaggi critici della loro vita trovano nei chatbot uno sfogo protetto per esprimere vissuti e gestire emozioni: un supporto in momenti di crisi.

Persone che stanno vivendo rotture, lutti, stress lavorativi, trovano supporto nell’immediatezza e nel non giudizio delle risposte dei chatbot: un luogo dove depositare difficoltà personali.

Alcuni utenti sviluppano legami emotivi intensi con chatbot, percependoli come amici o persino partner affettivi. Sono stati riportati casi di persone che dichiarano sentimenti amorosi verso Ai, con dinamiche simili a relazioni umane (attenzioni, intimità, dialogo emotivo): il bisogno umano di contatto e legame affettivo trova un momentaneo sollievo, dove il conforto all’istante è percepito come “vero”, anche se c’è la consapevolezza che la risposta è artificiale e manca una reciprocità autentica.

I chatbot sono strumenti utili se usati come supporto, non come sostituti. È importante un approccio integrato, in cui l’intervento umano resta centrale. Per rilassarci un attimo dalle nostre paure di boomers, possiamo far mente locale sul fatto che, ormai da centinaia di anni, i libri hanno integrato e anche sostituito una interazione umana più completa… Anche allora, con l’avvento della scrittura prima, e della stampa poi, si è assistito a una mutazione antropologica che ha reso enormemente  diffuso e meno controllato il passaggio di saperi, e poi, dal momento in cui c’è stata una alfabetizzazione di massa, questo ha permesso di realizzare a livello sociale maggiore consapevolezza e cultura, non meno… Certo, la ricerca futura affinerà le competenze emotive dell’Ai e dovranno perciò essere definite specifiche linee guida etiche, tutelando la persona e la sua privacy.

TECNOLOGIE, UN USO CONSAPEVOLE

La mente umana è complessa, è fatta di emozioni e relazioni che nascono nell’incontro vivo tra persone. La tecnologia può arricchire il percorso psicologico solo con rispetto e responsabilità, mantenendo al centro la relazione autentica e il valore imprescindibile dell’esperienza umana. Il terzo millennio ci pone la sfida di integrare umanità e innovazione, per rispondere ai bisogni più profondi di ascolto, empatia e crescita.