“Luoghi” ecclesiali e teologia dal margine

Compiti di realtà dal Documento finale del Sinodo

Persone sedute in treno, foto in bianco e nero

«A chi tra noi vorrebbe avere un ruolo attivo nella creazione di pratiche culturali controegemoniche, “una politica di posizione” intesa come punto di osservazione e prospettiva radicale impone di individuare spazi da cui iniziare un processo di re-visione» (bell hooks, Elogio del margine).

A queste parole di bell hooks si è rivolto il mio pensiero quando, nel leggere il Documento Finale della XVI Ass. Gen. Ord. del Sinodo dei Vescovi (26/10/2024), sono giunta al n. 114. Un paragrafo che, seppur nella sua brevità, ho trovato particolarmente profetico. Così dice:

«Questi sviluppi sociali e culturali chiedono alla Chiesa di ripensare il significato della sua dimensione “locale” e di mettere in discussione le sue forme organizzative, al fine di servire meglio la sua missione. Pur riconoscendo il valore del radicamento in contesti geografici e culturali concreti, è indispensabile comprendere il “luogo” come la realtà storica in cui l’esperienza umana prende forma. È lì, nella trama delle relazioni che vi si instaurano, che la Chiesa è chiamata ad esprimere la propria sacramentalità e a svolgere la propria missione».

La parte IV che include, appunto, il n.114, tratta della Conversione dei legami, gettando lo sguardo sui “luoghi” nei quali l’intera Chiesa vive e sulle forme che assume per essere efficacemente presente nei territori. Questo sguardo sembra essere illuminato da importanti novità di posizionamento, per riprendere bell hooks. La Chiesa, interpellata e spesso (s)travolta dagli sviluppi sociali e culturali descritti nei numeri che precedono il 114 (l’urbanizzazione, la mobilità umana, l’interculturalità, la cultura digitale), si riconosce immersa in un mondo in cui la percezione del tempo e dello spazio è radicalmente cambiata. E allora non può non chiedersi anch’essa: qual è il mio posto? Qual è il mio “luogo”?

A questa fondamentale domanda risponde il n.114: il posto della Chiesa non è tanto il singolo territorio che essa in qualche modo occupa, quanto l’esperienza umana e la trama di relazioni nelle quali è in grado di inserirsi per diventare sacramento (mediazione simbolico-reale) dell’accoglienza di Dio per tutte e tutti. Individuare questo “luogo” come posizionamento radicale per iniziare processi di re-visione, richiamando ancora le parole di bell hooks, potrebbe costituire un vero e proprio compito di realtà per il cattolicesimo attuale.

Posizionarsi “nell’esperienza umana e nella trama di relazioni”, certo, richiede un ripensarsi, un ricollocarsi a volte complesso e la necessità di una forma ospitale aperta, mai rigida. Nell’intera parte IV del Documento Finale si guarda al futuro proprio da questa prospettiva: l’esigenza di una decostruzione dell’opposizione tra centro e periferie grazie alla quale la Chiesa diventi “casa” accogliente ed inclusiva (n.115).

E ciò che riguarda l’intera Chiesa, vale, ovviamente, anche per la teologia, il cui “luogo” specifico non potrà essere se non “l’esperienza umana e la trama di relazioni”. Da questa posizione così larga ed ospitale, la riflessione sistematica può davvero contribuire con parole nuove, capaci di dialogo con la cultura nella quale è immersa. La teologia che potremmo definire dal margine è quella che offre una possibilità preziosissima di interlocuzione non solo con chi è “dentro”, ma soprattutto con chi è “fuori” e con chi è sulla “soglia”… in pratica davvero con tutte e tutti. Questo compito le è affidato ora più che mai, pena l’insignificanza.