Memorie del Rock dal vivo negli anni 70
Tante storie
Anni unici per i concerti dal vivo quelli tra il 1970 ed il 1977, di cui fui testimone oculare, performances spesso viscerali e non sempre adeguatamente curate dal lato tecnico data l’avventurosa perizia degli addetti al sonoro, ma senza dubbio dense di entusiasmo e di grandi novità per una nazione abituata al melodico sanremese o, per non moltissimi, al repertorio lirico e classico.
Il pubblico giovanile ebbe l’occasione di conoscere ciò che di nuovo accadeva soprattutto nei paesi anglosassoni, dove la temperie sociale aveva assunto forme differenti sia politicamente sia socialmente come senso della partecipazione collettiva quale rito di massa dai connotati entusiastici, secondo quella che sarebbe divenuta un’alternativa al “borghese benpensante”, ai riti frigidi del “take it easy” dei quali quelli dai 17 ai 25 anni ne avevano decisamente abbastanza, anche e forse soprattutto per le saette ideologiche lanciate dai movimenti del 68, piaccia o non piaccia l’indicazione storica.
Le organizzazioni di tali eventi furono in realtà piuttosto improvvisate: “i giovani promoter cresciuti sui modelli stranieri si inventarono quasi dal nulla un vero e proprio business, portando gli artisti d’Oltremanica e d’Oltreoceano che i ragazzi conoscevano solo attraverso l’ascolto dei dischi, la radio e la lettura di riviste patinate”, osserva Norberto Fedele, sottolineando gli scontri con le Forze dell’Ordine in un “tourbillon di accadimenti che ebbero come colonna sonora, e comune denominatore, una musica magnifica e irripetibile”.
I Live si svolsero per lo più nei palasport, ma anche in spazi creati in modo estemporaneo (giardini pubblici, vecchie ville di città, aree industriali dismesse, scuole decadenti, siti storici ignorati dalle amministrazioni locali), a prezzi – vale la pena ricordarlo – del tutto accessibili, con l’opzione dell’ingresso gratuito dopo la prima parte del concerto qualora la ricerca dell’ “hai per caso cento lire?” non fosse stata sufficientemente fruttuosa; oggi per molti concerti si chiedono 100-150 euro ed anche più (alludo ai vari sold out di mediocri italici canori e qualche star internazionale che ben poco ha ancora da dire, alcuni dei quali finanziati, e non solo parzialmente, con denaro pubblico).
All’esterno delle aree destinate a quei concerti molti banchetti con vinili ad ottimo prezzo, caramellari, tendoni con panini e birra, vinai rubicondi e qualche allungatore di spinelli che a nessuno dava fastidio; di Roba più pesante in realtà poca traccia: gli “sballati” se ne stavano in disparte e ben poco gliene importava di quanto accadeva in quelle sere.
Passiamo alle memorie: 23 quelle ricordate dal Fedele, batterista e musicologo.
Mi limito a citare quelle cui presi parte: l’esplosivo Blues e Rhythm and Blues dei Rolling Stones, il prog celtico dei Jethro Tull, il Chicano dei Santana, il sinfonico visionario degli Yes, le fanfaluche hard rock dei Deep Purple, il Sublime lisergico dei Pink Floyd, il Boom elettrico dei Led Zeppelin, il pregevole romanticismo dei Genesis, il sinfonico degli Emerson, Lake and Palmer, il folk jazz elettronico utopico dei King Crimson, la fusion maleducata, sarcastica, cabarettistica e avanguardistica della Gibson SG del geniaccio maudit Frank Zappa e, al di fuori del popular in 4/4, l’Alternative Jazz di un gruppo di formidabili musicisti che ruotava intorno a Miles Davis, i Weather Report, band di ampie improvvisazioni e portentosi solismi, vero modello per le parabole sia contemplative che esplosive per molte band degli anni 80 e 90. Nostalgia? Certamente sì per “questo viaggio ricostruito attraverso articoli ed estratti dalle cronache d’epoca, testimonianze dirette e percorsi biografici”, nella certezza che il fluire del Tempo abbia polverizzato certe prese di Coscienza e certe Ambizioni ormai spesso ridotte a frottole di ripugnati amoretti e disgustosi capricci moralistici.