Diario scolastico
Mi sballo, prof!

A volte succede che la tranquilla routine scolastica, quella intessuta di spiegazioni, verifiche scritte, interrogazioni, ma anche di sbadigli, occhi sognanti e sorrisi rubati, venga sconvolta da qualche avvenimento extra-ordinario. Succede, per esempio, che le forze dell’ordine entrino nel plesso scolastico tenendo al guinzaglio nervosi cani antidroga e succede anche che queste povere bestie fiutino qualcosa in grado di renderle particolarmente agitate. Succede, cioè, che individuino uno studente o una studentessa, attirati dal fatto che nello zaino o nelle tasche del giubbotto nasconda una qualche sostanza illegale. L’olfatto di questi cani, infatti, è così acuto che arriva a individuare anche chi sia venuto in contatto con qualche tipo di droga nelle 12-24 ore precedenti la perquisizione. Non si tratta quasi mai di controlli a campione, ma se l’unità cinofila antidroga entra in un plesso scolastico è perché c’è stata qualche segnalazione o, per dirla da un altro punto di vista, è avvenuta una soffiata. L’incontro con le forze dell’ordine e i cani, ovviamente, spezza la quotidianità e mostra quanto la realtà di certi inquietanti servizi televisivi e delle dure inchieste giornalistiche sulla diffusione delle sostanze stupefacenti tra i giovani sia dannatamente vicina a chi, come me, i ragazzi ce li ha a portata di mano ogni giorno. Mentre i cani girano per i corridoi e per le aule, poi, non si può fare a meno di guardare in faccia i propri ragazzi, cogliendone l’imbarazzo, la tensione, l’incredulità o per scrutare se si ravvisino tracce – mi si consenta la brutalità – di ammissione di colpa. Così come non si può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando i poliziotti escono di scena senza che nessuno sia stato preso di mira, quasi a dire che tutto può tornare come prima e che le inchieste possono rientrare nei televisori, lontano dalla propria quotidianità. Da insegnante, ci si sente sollevati se non succede nulla, quasi a dire che, per fortuna non si deve affrontare anche questo problema.
NON C’È DIVERTIMENTO SENZA SBALLO
Ma ci pensa Riccardo a farmi ripiombare nel vivo del discorso quando, alla fine dell’ora e durante l’intervallo, mi si avvicina per farmi sapere che – lo sanno tutti, prof – non c’è divertimento senza sballo. Ci tiene a dirmi che noi adulti non capiamo, o facciamo finta di non capire, che la giovinezza è sballo, è eccesso, come attestavano i poeti maledetti. Insomma, vuole dirmi che tutta questa messa in scena, con tanto di divise e di cani a loro volta drogati è ridicola perché tutti si sballano alla loro età e che probabilmente anche noi ci siamo sballati quando avevamo 17 o 18 anni. E aggiunge, un po’ sarcastico: “Certo, se se lo ricorda ancora, visto che deve essere passato qualche bel decennio da quando lei aveva la mia età!”. E giù una risatona che prelude la sua uscita di scena, per confluire nel magmatico andirivieni del corridoio, lasciando me letteralmente a bocca aperta.
Così, nei giorni successivi, decido di riprendere il discorso, a partire da uno dei più folgoranti poemi in prosa di Charles Baudelaire, intitolato provocatoriamente Enivrez-vous[1], ossia Ubriacatevi. L’anticipatore del maledettismo francese afferma in quel breve testo che nella vita è fondamentale imparare a ubriacarsi per spezzare le catene del tedio. Non importa se ci si ubriachi di vino, di poesia o di virtù, perché ciò che veramente conta è diventare capaci di riempire il tempo di sensazioni forti, quasi a dire che non ci si possa dire davvero vivi se non si sperimentano emozioni totalizzanti. Da antimoralista qual era, per Baudelaire non fa alcuna differenza se, per riempire l’esistenza, si scelga l’eccesso dell’alcol o della droga, oppure la poesia, il bello e la virtù. Peccatori o santi, per lui fa lo stesso, purché si viva intensamente. La lettura di un testo così provocatorio crea un profondo silenzio in classe. Si tratta di un silenzio denso, pieno di interrogativi, che mette in moto gli ingranaggi del cervello. Così, dopo qualche minuto di riflessione, cominciamo a discutere su cosa abbia voluto intendere il poeta e se il suo messaggio sia o meno condivisibile.
LO SBALLO DI RICCARDO
È sempre Riccardo che rompe il ghiaccio, forse perché, da ragazzo intelligente qual è, ha già capito che è in parte una sua responsabilità se si è finiti nel vicolo cieco in cui le riflessioni di Baudelaire ci hanno condotto. Per questo, assumendosi implicitamente le sue responsabilità, apre bocca e confessa di non aver mai pensato che ci si potesse ubriacare di qualcosa che non sia una sostanza alterante. Però, onestamente, vuole anche portare la sua testimonianza, una testimonianza che – mi assicura – riguarda solo lui, perché non è un infame e non vuole accusare nessuno. Insomma, Riccardo ci dice che per lui la settimana non esiste; è solo una lunga parantesi che separa un weekend dall’altro. Lo studio, la scuola, le attività sportive sono dei passatempi in vista di quello che davvero conta, ovvero sballarsi il sabato sera. E sballarsi per lui vuol dire divertirsi, stordirsi, non pensare, lasciarsi andare anche fumando una canna o bevendo qualche birra. Mentre parla, mi guarda dritto negli occhi, non per sfidarmi, quanto piuttosto per farmi capire che lui, in quel momento, è davvero onesto. Ma, insieme, quasi senza esserne consapevole, in quello sguardo che mi scruta fisso, si nasconde anche una qualche richiesta confusa e nel contempo pressante. È uno sguardo che sembra volermi domandare se veramente ci sia qualcos’altro nella vita di importante oltre lo sballo, perché lui non è in grado di vederlo. Sembra quasi implorami affinché lo rassicuri e gli dica se davvero c’è qualcosa che ubriachi di bellezza e non stordisca.
ALTRI TIPI DI SBALLO
Ma ci pensano i suoi compagni a dare delle risposte molto più sensate del mio bla bla di adulto, quando qualcuno prende la parola. Come Alessandro, un ragazzo molto appartato e schivo, che ci racconta qualcosa che lui sa già lo metterà in ridicolo. Ci dice che per lui lo sballo è rappresentato dall’arte manierista. Ci racconta che durante l’estate è andato appositamente a Firenze per visitare Il Trasporto di Cristo del Pontormo nella chiesa di Santa Felicita, dove è rimasto tutto il pomeriggio, dilapidando una fortuna in monetine per illuminare il dipinto, perdendosi davanti a tanta bellezza. Ci dice che lui vorrà continuare a ubriacarsi di questa sostanza che è l’arte, facendola diventare la sua ragione di vita. Oppure Carlotta, una ragazza dalla penna d’oro, che prende la parola per dirci come anche lei si ubriachi di qualcosa che non è il vino. Lo fa quando presta servizio come volontaria in una associazione che si prende cura di anziani non autosufficienti. Ci racconta di come ogni sabato vada a far visita a due anziane sorelle e giochi con loro a Burraco. Si emoziona quando ci comunica l’entusiasmo con cui, tra una partita e l’altra, le signore le raccontino alcuni episodi significativi della loro lunga vita e di come stia raccogliendo in un diario queste testimonianze, perché lei sa che da grande farà la scrittrice. È quasi in imbarazzo, poi, quando ci dice quanto queste conversazioni le abbiano permesso di comprendere che vivere intensamente significa semplicemente voler bene, creare relazioni, saper dare una carezza senza sentirsi ridicoli. E mentre parla si fa piccola piccola, mentre le guance si imporporano violentemente, ma nessuno fiata o sorride. Anche Riccardo li ascolta, incredulo e un po’ imbarazzato… si sente nudo in mezzo a tanti racconti inebrianti ma privi di sostanze psicoattive e dopo un po’mi guarda e mi dice: “Ma lei, prof, di che sostanze si fa, quando tira fuori questi testi?”. Per fortuna, però, suona la campanella, evitando che me ne esca con qualche frase da boomer poco felice e così tutto può rientrare nella normalità. Ma Riccardo ci aveva visto bene, perché non vi nascondo che, dopo una lezione così, il più sballato del plesso ero io.
[1] Charles Baudelaire, Enivrez-vous, in id, Piccoli poemi in prosa, Rizzoli, Milano 1990, pp. 234-235.