Gesù non era Che Guevara
Dice il saggio
La casa editrice Morcelliana ha ripubblicato un testo storico sulla figura di Gesù: quello scritto nel 1970 da Oscar Cullmann, teologo luterano e storico del cristianesimo, dal titolo “Gesù e i rivoluzionari del suo tempo. Culto, società, politica”.
All’epoca della sua uscita il testo di Cullmann, rielaborazione di una conferenza svolta a Parigi alla fine del 1969, si inseriva in un dibattito piuttosto vivace che vedeva da un lato chi subiva il fascino dei movimenti rivoluzionari di quegli anni e provava in diversa misura ad arruolare la figura di Gesù tra le sue fila dandone una lettura in termini politici e sociali con riferimenti all’attualità e, dall’altro, le istanze conservatrici che dipingevano Gesù come un esempio di accettazione dello status quo relegando il messaggio di cambiamento a una mera dimensione interiore spirituale senza ricadute nella realtà politica e sociale.
La risposta di Cullmann a simili tentativi fu un netto rifiuto a tali indebite appropriazioni attraverso un’analisi storica autentica che ancora oggi rimane quale valore aggiunto del testo, rendendolo, anzi, a distanza di anni, ancor più interessante, proprio perché al riparo dalle strumentalizzazioni ideologiche degli anni ’70 e fruibile nel suo spirito più puro di ricerca storica e riflessione teologica.
In “Gesù e i rivoluzionari del suo tempo” Cullmann esplora il rapporto complesso tra Gesù e i movimenti rivoluzionari dell’epoca, focalizzandosi in particolare sulla questione degli Zéloti, gruppo che lottava contro l’occupazione romana. Cullmann contrasta le interpretazioni “rivoluzionarie” di alcuni studiosi (come Eisler e Brandon), che vedono Gesù come simpatizzante degli Zéloti e rivoluzionario politico. Propone invece un’immagine di Gesù incentrata su un rinnovamento spirituale, piuttosto che politico o sociale.
I sostenitori della vicinanza ideologica tra Gesù e gli Zéloti si basano su episodi evangelici come la cacciata dei mercanti dal tempio, interpretabile come un atto contro l’ordine romano. Tuttavia, Cullmann sottolinea che tali azioni vanno analizzate con attenzione: l’intento di Gesù non era sovvertire le istituzioni, né d’altronde lasciarle così come erano, ma purificarle, denunciando la corruzione senza appello alla violenza. Gesù appare, dunque, come un riformatore religioso più che un agitatore politico, interessato a un ritorno all’autenticità della fede.
L’autore riconosce che Gesù venne percepito dalle autorità romane come un sovversivo e fu accusato di essere zelota, ma chiarisce che la predicazione di Gesù non aveva fini politici, bensì escatologici: il suo annuncio del Regno di Dio non riguardava una rivoluzione da farsi sulla Terra, bensì una conversione delle coscienze. Il messaggio di Gesù era una “rivoluzione spirituale,” non rivolta alla riforma delle strutture politiche, ma alla trasformazione interiore degli individui.
Nella “escatologia inaugurata” di Cullmann Gesù, figura centrale del processo escatologico stesso, aspettava un’imminente venuta del Regno di Dio, ma a livello sociale, il messaggio di Gesù si rivolge agli individui e non offre un programma concreto di riforma sociale. Piuttosto, invita a vivere secondo i valori del Regno di Dio – compassione, giustizia, solidarietà – come preparazione a un regno che trascende le dimensioni politiche.
Cullmann discute anche della storicità dei presunti legami tra Gesù e gli Zéloti, osservando come alcuni elementi evangelici, quali la presenza di Simone lo Zelota tra i discepoli, siano interpretati erroneamente come prove di un coinvolgimento zelota. Soprattutto, evidenzia Cullmann, lo stesso movimento zelota negli anni in cui visse Gesù era assai meno strutturato di quanto sarebbe poi diventato nei decenni successivi. Dalle cronache di Tacito, Filone e Giuseppe Flavio si può dedurre che con Ponzio Pilato le rivolte furono sporadiche e il ricorso alle armi non sistematico. Per Cullmann proprio il cristianesimo degli anni 50-70 d.C., poco dopo la morte di Gesù, quello sì radicato in un contesto di forte tensione politica e sociale in Palestina (si pensi alla rivolta del 66 d. C. e alla prima guerra giudaica che ne scaturì), ha contribuito a interpretazioni e forzature sulla politicità di Gesù. Vi furono, insomma, da subito tentativi di utilizzare la testimonianza di Gesù a fini politici più o meno rivoluzionari, ma ciò non deve portare ad attribuire tali strumentalizzazioni al messaggio originale del Maestro.
L’autore conclude che associare Gesù agli Zéloti riflette più le interpretazioni contemporanee che la realtà storica. La predicazione di Gesù non si fuse con i movimenti armati dell’epoca, ma restò sempre orientata a una missione religiosa e morale. Episodi come la tentazione di Satana nel deserto (Matteo, 4) e il rimprovero a Pietro (Matteo, 16) stanno lì a dimostrare il rifiuto di Gesù di farsi un “messia politico”, così come il suo ingresso a Gerusalemme, avvenuto simbolicamente su un’asina, in accordo con la profezia di Zaccaria 9:9 e in contrasto con il cavallo da guerra di re o capipopolo. Cullmann, che già nel 1956 con “Dio e Cesare” si era occupato del rapporto cristiano tra impegno nelle cose del mondo e testimonianza spirituale, rivolge la sua critica anche a chi cerca di associare Gesù a un sostegno dello status quo. La critica di Gesù verso i Romani e verso Erode gli procurò l’inimicizia delle autorità e portò alla sua condanna. Cullmann descrive un Gesù sensibile a riformare le istituzioni, ma non attraverso la violenza, come farebbe un rivoluzionario politico, bensì con una rivoluzione spirituale. La sua visione si avvicina a quella di Paolo (Lettera ai Romani 12:2), secondo cui il cristiano deve trasformarsi “mediante il rinnovamento della mente” e una sincera conversione può avere conseguenze sociali e politiche. Il Regno di Dio è anche una risposta all’ingiustizia del mondo che privilegia però il cambiamento interiore, una rivoluzione spirituale che punta alla trasformazione dei cuori.