Il Presente del Passato ed il Presente del Futuro
Che spettacolo!
Il sottotitolo “dizionario della musica contemporanea” di per sé fa tremare, incuriosisce, sbalordisce fino a non esser ritenuto possibile. Com’è possibile stilare una Summa discografica della Musica Contemporanea? In realtà non lo è e, al di là d’ogni provocazione, l’Autore ben lo sa e lo dichiara ore rotundo in ogni dove delle sue 400 pagine dense di interrogativi e non definizioni, poiché ogni arte non è mai definitiva, come ogni scienza, come ogni manifestazione della mente e dell’animo umano. Anche chi scrive è figlio di una generazione che da tempo ritiene d’aver compreso che ogni libro di tal fatta è sempre “vecchio, incompiuto, lo è perché scrivere il Contemporaneo è una contraddizione in termini; mentre il libro è in pubblicazione il nostro presente continua, fortunatamente, a produrre musica nuova e chi scrive a cambiare idea”. Verissimo: chi può mai definire l’Essenziale, il Giusto Assoluto, il Vero definitivo? “Dobbiamo accontentarci del punto al quale siamo giunti e alle condizioni spirituali e sapienziali dell’autore in questo momento”. Ecco il senso del titolo Presente Continuo, rafforzato dal “massimo rispetto per chi è assente”, chiarendo la fugacità del Tempo Attuale nel poter definire La musica contemporanea, in realtà impossibile ad esser definita:” è un problema designarla, è un problema ascoltarla, è un problema capirla, è un problema trovarla, è un problema comunicarla”. Ed allora più corretto periodizzare il Novecento in due presunte fasi, posto che la terza (il Terzo Novecento) e la quarta (la prima parte del Duemila) sono in assoluto Divenire: nessuno Stato dell’Arte è mai fermo, stanziale, il desiderio del cambiare i piani del “so già” è il Fine, quali che siano i Mezzi. Ed allora leggere diviene l’Evento più credibile, ampliando la Sintassi in aggiunte di Elementi reputati storici. Così “il volume in guisa di dizionario diviene, nella sua limitatezza, consultabile sempre e per sempre nel formato più rassicurante (continuamente contemporaneo) che conosciamo”. Cosa trovare nel primo Novecento? Federico Capitoni ipotizza, e noi scegliamo secondo la provvisorietà del nostro giudizio, senza ansie di completezza: Jeux, Mélodies, Les Trois Sonates di Claude Debussy (Jean Pierre Rampal al flauto, Msitislav Rostopovich al violoncello, Benjamin Britten al pianoforte nell’Orchestre de la Suisse Romande) , George Gershwin (Rapsodia in Blu, Un Americano a Parigi, Porgy and Bess, Cuban Ouverture nella versione della Chicago Symphony Orchestra diretta da James Levine), Kammermusik 1-7 di Paul Hindemith (Berliner Philarmoniker diretti da Claudio Abbado), il Concerto per piano in Sol Maggiore di Maurice Ravel (Arturo Benedetti Michelangeli!), il distonico Pierrot Lunaire di Arnold Schomberg diretto da Philippe Herreweghe, lo Stravinsky diretto da Ernest Anermet, scegliendo a mio gusto, così come per la seconda parte della discografia, da Philip Glass, Steve Hackett, Keith Jarrett, Gyorgy Ligeti, Jon Lord (l’organista dei Deep Purple!), l’Ecce Cor Meum di Paul MCCartney, Bruno Maderna, Oliver Messiaen, Ennio Moricone, Astor Piazzolla, Terry Riley (psichedelia allo stato puro), Nino Rota, Ryuichi Sakamoto (dal Minimalismo al post rock), a Ravy Shankar (il Sitar per eccellenza), Karlheinz Stockhausen, Richard Strauss, Vangelis, Rick Wakeman (il pianista degli Yes), Frank Zappa, John Zorn e, inevitabilmente, Brian Eno. Vedete voi che eclettismo questo noto critico musicale: parteciperemmo volentieri, ne avessimo caso mai occasione, alla stesura di un’opera come questa, stimolante, curiosa, intelligentemente incompleta, molto ben commentata nelle scelte discografiche che, in gran parte, condividiamo.