Gesù e la spada

Ho letto una storia narrata da un sub che, dopo un incontro ravvicinato con un polpo, ne aveva scoperto tutta la sensibilità, l’evidente intelligenza, la curiosità che gradualmente vinceva il terrore, la capacità di esplorare lo strano visitatore e “meravigliarsi” per il calore che emanava. Per l’essere umano quell’incontro aveva significato prendere la decisione di non fare più pesca subacquea.

Persino un animale invertebrato guardato negli occhi, dopo averlo trattato solo come preda e cibo per anni, può indurre a ripensamenti sulla propria condotta. Forse per questo riusciamo a individuare una qualche nobiltà negli scontri ad armi pari, diretti, in cui l’avversario è in qualche modo rispettato e persino onorato. Questo implica che, seppure si contempla la possibilità dell’uccisione, propria e altrui, questo avviene dentro un quadro di regole, escludendo il coinvolgimento di terze parti e certamente riducendo al minimo il numero delle vittime. Nei conflitti recenti notiamo invece il continuo spostarsi dei limiti, l’indiscriminata macellazione degli innocenti fra gli innocenti – i bambini – gli attacchi preventivi, la costante cosificazione dell’altro che è semplicemente un nemico da estirpare, in una spirale genocidaria che sembra non trovare requie.

SPADE DI FERRO

L’operazione che osserviamo da un anno con crescente orrore svolgersi nella striscia di Gaza a cui si aggiunge la recente escalation in Libano si chiama “spade di ferro”. Quando noi pensiamo ai racconti di “cappa e spada” siamo in un mondo quasi cavalleresco, così distante dall’incessante e sommario bombardamento le cui conseguenze persino le organizzazioni umanitarie più esperte in materia non trovano parole per descrivere.

Uno degli aspetti più inquietanti è il riferimento alle vicende bibliche di conquista e difesa proprio di quei territori che giustificano ideologicamente gli eventi. La “spada” diviene quindi sinonimo di guerra, di una condizione in cui si sopravvive in un ambiente ostile, di risoluzione cruenta di contese. Per un cristiano è sempre impegnativo leggere delle narrazioni di stermini e cercare la parola di Dio contenuta in queste pagine: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (Dei Verbum, 12).

Normalmente la lettura dei brani bellici dell’Antico Testamento tiene conto della gradualità della rivelazione divina, ma come intendere le parole di Gesù riportate in Matteo 10,34: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada»?

Si potrebbe comprendere nel senso che, esaurite le opzioni non violente e quando le situazioni si estremizzano, si deve pur organizzare un’adeguata difesa. Così intendono i discepoli nel passo analogo in Luca in cui Gesù invita a vendere mantelli per acquistare una spada (cfr. Lc 22,35-38): presentate due spade dai discepoli Gesù reagisce pronunciando un lapidario «basta!».

SPADE DI PAROLE

L’espressione in Matteo fa parte del discorso di invio dei discepoli, dove Gesù li prepara alle difficoltà della missione e alle divisioni che possono nascere seguendo il suo insegnamento, ma appare subito in contraddizione con l’immagine di Gesù come portatore di pace e amore incondizionato, introducendo l’idea di divisione e conflitto come parte della sua missione.

La comunità di Matteo nella seconda metà del I sec. affrontava tensioni interne ed esterne, tra cristiani e sinagoga, tra cristiani e pagani. Questo versetto potrebbe riflettere tali conflitti.

La prospettiva storico-critica interpreta Matteo 10,34 alla luce delle tensioni che le prime comunità cristiane affrontavano nel contesto storico del I secolo. L’adesione al messaggio di Gesù poteva creare divisioni significative all’interno delle famiglie e delle strutture sociali. Ciò emerge dal versetto seguente in cui Gesù afferma di «essere venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera» (Mt 10,35).

Qual è l’identità del discepolo nel conflitto? Con chiarezza nel racconto dell’arresto al Getsemani Gesù si rivolge a quello che aveva ferito il servo del sommo sacerdote per difendere Gesù stesso: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno» (26,51-52).

LA SPADA DELLO SPIRITO, È LA PAROLA DI DIO (CFR. EF6,17)

Se allora il riferimento di Gesù è metaforico la “spada” è intesa come simbolo delle divisioni inevitabili e necessarie che emergono rispetto a logiche che perpetuano l’ingiustizia. Simeone cita la spada mentre descrive il bambino come «segno di contraddizione» (Lc 2,34). La sua presenza nel mondo porterà precise conseguenze e la sua parola sarà come «spada a doppio taglio che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito» (Eb 4,12). Questa immagine arriva fino all’Apocalisse in cui fra i vari simboli associati al Risorto si dice che «dalla sua bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio» (1,16).

Lungi dall’essere simbolo di distruzione o morte la metafora dice il discernimento portato dalla parola di Dio sulle ipocrisie, sugli inconfessabili interessi economici, sulle commistioni opache dei poteri. A livello personale e sociale l’incontro con la parola di Gesù e le sue esigenze radicali non può lasciare indisturbati.

Le scelte evangeliche sono ben distanti dalla indifferenza, passività o rassegnazione con cui anche in questi nostri giorni, a partire dalle classi dirigenti dei vari paesi europei, si assiste agli scontri senza riuscire a proporre via alternative.

Questo detto di Gesù non giustifica gli eccessi di legittima difesa, ma sfida le comunità cristiane a considerare come vivere la propria fede in contesti sociali e culturali complessi e invita tutti a prendere una posizione, ad esercitare il discernimento, a fare pressione in tutte le sedi perché quelle istituzioni nate per dirimere conflitti ripudiando la guerra ritrovino le vie dell’intermediazione.