Paolo Ricca, una fede intelligente e gioiosa

Non avrebbe voluto che si parlasse di Paolo Ricca alla sua morte, senza mettere al centro il cuore di tutta la sua esistenza, il Dio di Gesù Cristo, che con il suo amore e la sua fedeltà ha accompagnato e illuminato l’intera sua esistenza. Nella notte del 13 Agosto ci ha lasciati uno dei testimoni più autorevoli della fede evangelica, probabilmente la figura più conosciuta del mondo del protestantesimo italiano. Paolo Ricca era un uomo di Dio. Pastore valdese, instancabile conferenziere, studioso di storia del cristianesimo, insegnante e raffinato conoscitore di Lutero e della complessa storia della Riforma, con al suo attivo tantissime pubblicazioni. Una vita lunga e ricca, proprio come dice il suo nome. Che cosa rendeva così carismatico ascoltarlo, leggerlo e discutere con lui, se non la sensazione di incontrare, insieme a lui, il suo caro Gesù. Rimane per me un mistero come Paolo Ricca abbia saputo coltivare una fede critica, interrogante e, insieme, solida e gioiosa. Eccellente comunicatore, sapeva penetrare nel testo biblico restituendone, con la sua predicazione, tutta la potenza di quella Parola antica. Attraverso la sua voce la Bibbia non era più un libro lontano, arcaico, ma parola viva, capace di aprire orizzonti di senso e di rispondere ai tanti interrogativi esistenziali ed ecclesiali del nostro presente. Chi ha incontrato Paolo Ricca si sentiva immediatamente attratto da quella fede profonda, dove potevi rispecchiarti senza mai sentirti inadeguato. Perché la sua è stata una fede accogliente, ecumenica. La forza della sua comunicazione era sicuramente legata alla sua fine capacità oratoria, (memorabili le sue pause!); ma questa non era mai solo tecnica, poiché si nutriva di ascolto profondo dell’interlocutore a cui si rivolgeva. Era un uomo profondamente ecumenico, aperto al confronto e al dialogo. Desideroso di lasciare alle generazioni future una chiesa accogliente e unita nelle sue diversità. E proprio al dialogo ecumenico ha dedicato così tante energie per costruire ponti, convergenze tra confessioni differenti. “Che cosa possiamo affermare insieme?”: era questa una delle domande che faceva risuonare, nel gruppo teologico del Sae (Segretariato Attività Ecumeniche), ad ogni tema di studio affrontato. E non si trattava di stilare la lista delle convergenze e delle divergenze, ma di provare, ogni volta, a spostare i paletti divisori, per allargare lo spazio dell’incontro. Ora che Paolo Ricca ha concluso la sua esistenza terrena, ci viene chiesto di accogliere e custodire l’eredità di questo testimone dalla fede intelligente e gioiosa. Un’eredità che interpella le chiese a favorire le condizioni di possibilità perché sboccino credenti curiosi, capaci di un ascolto puntuale del contesto in cui vivono e, insieme, che sappiano accendere visioni e suscitare nuove passioni per l’evangelo. Perché un carisma come quello di Paolo Ricca non è solo il frutto di una genialità e una generosità personali; nasce anche per precise scelte ecclesiali, non preoccupate della spendibilità immediata del lavoro dei propri membri, ma che con lungimiranza favoriscono processi di formazione e di incontro ad ampio respiro. Il fatto che il giovane pastore Paolo Ricca non sia stato totalmente assorbito nella gestione ordinaria, ma lo si sia distaccato per partecipare come giornalista ai lavori del Concilio Vaticano II, e poi per approfondire gli studi all’estero, con i più grandi teologi del tempo, ci fa comprendere la cura e le scelte coraggiose necessarie perché sorgano figure simili ancora oggi. Raccogliere l’eredità di Paolo Ricca significa anche questo.