RF&TV
La Storia siamo…/spot
Forse l’età. Forse la calura… Di base la molta memoria accumulata, quindi, col caldo climatico, poi, a scombussolarla suggerendo riflessioni singolari. Forse, un po’ con Paul Ricoeur, anche generando significati per accostamenti inconsueti.
Lo spot tv dell’azienda ex-monopolista dell’energia (elettrica) determina in effetti un flipper di pensieri. La storia siamo noi, da Francesco De Gregori, ne è la colonna musicale, col titolo che compare in sovrapposizione di schermo, già all’inizio. E le immagini scorrono nel tempo dal bianco/e/nero d’una documentaristica industriale (qui anni Sessanta, ma da scuole più remote) ai linguaggi dell’attuale comunicazione d’immagine: la parte visiva trascorre così dalla messa in opera di pali e paline, con grossi isolanti in ceramica, ai tralicci per il trasporto d’energia su lunghe percorrenze: e qui è poesia d’una discutibile sicurezza sul lavoro il trabiccolo ‘quadri/esaciclo’ con l’operaio che ci pedala sui cavi in fase di posa e regolazione mentre il popolo lo osserva ora su un televisore ad angoli smussati ed ora ‘dal vivo’ con gli occhi all’insù.
La durata dei 60 secondi consente più considerazioni della versione dimezzata perché sono in maggiore evidenza le modalità – pudiche a ben vedere – che narrano di collegamenti dell’energia in tutta la penisola (1962) e poi nelle isole (1966: quando, parlandone per tecnica tv, le riprese restano su pellicola ma registrano il subentrare del colore) senza accennare ai processi politici della nazionalizzazione dell’energia elettrica col primo centrosinistra: Amintore Fanfani alla presidenza, il Psi nella maggioranza e ministri di nome Colombo, La Malfa, Tremelloni. Con tutta evidenza un solo cenno a questo rimbalzo avrebbe messo in discussione gli approdi vantati nell’altra metà dello spot: il “creare valore” – trasformazione in s.p.a. con quotazione in borsa e inizio/sviluppo della vendita a capitali privati – con governi, altrettanto a scorrimento, presieduti da Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, sino al venir meno della logica delle imprese definite “campioni nazionali” da un lato per il loro proiettarsi verso altri continenti, dall’altro per la rinuncia da parte dello Stato persino a gestirne una qualche maggioranza azionaria.
Sotto i richiami all’onda ‘green’, per altro reale, nei fatti e nello spot passa il rovesciamento dell’economia sociale a favore del liberismo a dominio finanziario mentre la visione internazionale e progressiva dei Mattei – indecente la strumentalizzazione del nome da parte del governo in carica – o degli Olivetti, dei Crespi o dei Falk cede alle forme dei nazionalismi piccini e subalterni: con cessione di nomi storici d’impresa e di infrastrutture del comunicare. Vince qui la chiacchiera (il ‘si dice’ heideggeriano) e la bis-lingua di Orwell.
Così, per tornare allo spot, nel nuovo orizzonte i lavoratori in tuta e caschetto di sicurezza sono comparse da pubblicità e non più lavoratori veri documentati in attività reali.
L’ultima ‘inferenza falsificante’ – pur sempre Popper – è la scritta conclusiva: “La storia è di chi la fa”, mentre Francesco (Guccini ancora, ma potrebbe quasi essere l’altro) afferma: “Nessuno si senta escluso”.