Premierato
Il culto del Capo
Il disegno di legge costituzionale sull’elezione popolare del Presidente del Consiglio, varato dal Consiglio dei ministri il 15 novembre 2023 su iniziativa della Premier Meloni e della ministra Casellati, ribattezzato come “Premierato”, è stato approvato con alcuni emendamenti dal Senato il 18 giugno 2024. Due considerazioni preliminari si impongono. La prima riguarda la contemporaneità con l’approvazione definitiva alla Camera il 19 giugno della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, segno evidente che le due proposte sono state oggetto di un baratto politico tra Fratelli d’Italia e la Lega: da un lato rafforzamento del capo del Governo, dall’altro più poteri ai Presidenti regionali in materia di diritti fondamentali e di infrastrutture strategiche. In secondo luogo per il Premierato, trattandosi di una legge non ordinaria ma di revisione costituzionale, si tratta solo della prima delle quattro approvazioni dello stesso testo previste dall’art. 138 Cost., due per ogni Camera, la seconda delle quali deve avere il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti e, se ottiene meno dei due terzi dei componenti, legittima la richiesta di referendum da parte di un quinto dei membri di una Camera o di cinquecentomila elettori o di cinque Consigli regionali.
una riforma epocale antidemocratica e anticostituzionale
La “riforma epocale” di cui parla Meloni ha come presupposto una concezione verticistica e personalistica delle istituzioni e produrrebbe come effetto lo smantellamento della Costituzione democratica e antifascista.
Innanzitutto va sottolineato che l’elezione popolare del Primo ministro non è prevista nelle democrazie, che evidentemente ritengono di non dover dare una legittimazione eccessiva al capo della maggioranza. L’unico Stato che l’ha praticata fu Israele del 1996 fino al 2001, quando l’ha abbandonata avendo verificato che l’elezione popolare dl Primo ministro non garantiva affatto la formazione di governi stabili. Inoltre non viene indicata la maggioranza necessaria per l’elezione, come avviene nelle Costituzioni che prevedono l’elezione popolare del Presidente della Repubblica. Quindi una successiva legge ordinaria, approvata dall’attuale maggioranza parlamentare, potrebbe stabilire una maggioranza inferiore a quella assoluta dei votanti, con la conseguenza che il capo del Governo potrebbe di fatto essere eletto da una minoranza anche esigua del corpo elettorale una parte crescente del quale non partecipa alle elezioni (il 36,21% in quelle del 2022). Nel testo originario non c’erano limiti alla rielezione, poi è stato introdotto un emendamento per cui il Presidente eletto dal popolo non può fare più di due legislature consecutive, ma può farne una terza se ha esercitato la carica per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Ciò può incoraggiarlo a dimettersi e imporre lo scioglimento del Parlamento per potersi ricandidare e mantenere la carica per quasi dodici anni e sei mesi.
L’elezione del Presidente del Consiglio avviene congiuntamente a quella dei parlamentari con un premio di maggioranza alle liste e ai candidati a lui collegati, non subordinato a una soglia minima di voti per la sua attribuzione, in palese contrasto con i principi di rappresentatività e di eguaglianza del voto come ha chiarito la Corte costituzionale fin dal 2014 quando ha bocciato il premio previsto nell legge n. 270/2005 (il noto Porcellum di Calderoli). L’elezione congiunta, che non esiste negli Stati democratici a elezione diretta del capo dell’esecutivo i quali prevedono talvolta l’elezione contemporanea, ma sempre separata e quindi l’eventualità che la maggioranza parlamentare non corrisponda a quella che ha eletto il Presidente (com’è avvenuto negli Stati Uniti e in Francia), viola il principio della separazione dei poteri e della indipendenza del Parlamento, organo costituzionale titolare di prerogative fondamentali, la cui composizione sarebbe determinata dal voto dato al Presidente del Consiglio e quindi si troverebbe fin dalla nascita in uno stato di subordinazione nei suoi confronti. Inoltre viene violata la libertà dell’elettore, che non potrebbe esprimere una differenziazione tra il voto dato al candidato-Presidente del Consiglio e quello a una lista o coalizione a lui non collegata. Infine la costituzionalizzazione del premio di maggioranza costituisce una novità assoluta nella storia costituzionale italiana e non esiste nel solo significativo ordinamento democratico che lo prevede (la Grecia). Viene quindi abbandonata la saggia decisione dell’Assemblea costituente di non costituzionalizzare il sistema elettorale, il che comporta che in futuro il suo cambiamento richiederebbe una legge costituzionale. Inoltre sono evidenti gli effetti negativi che il premio di maggioranza ha avuto nel contesto italiano, stimolando la formazione di coalizioni ampie ed eterogenee utili per vincere e che si dividono quando si trovano a governare.
Poteri squilibrati e indeboliti
Nel merito il progetto del Premierato determina uno squilibrio tra i poteri. I poteri di intermediazione politica del Presidente della Repubblica sono nettamente ridimensionati. Per la formazione del Governo egli si limita a conferire l’incarico al Presidente del Consiglio eletto o al suo eventuale sostituto e a nominare o revocare i ministri su sua proposta. Anche lo scioglimento delle Camere diventa un atto dovuto che il Capo dello Stato deve disporre quando il Governo non ottiene la fiducia iniziale, se una Camera approva una mozione di sfiducia e allorché lo richieda il Presidente del Consiglio che ha dato le dimissioni. Più in generale il Presidente del Consiglio eletto dal popolo ha una legittimazione ben più forte di quella del Capo dello Stato, eletto dal Parlamento e dai delegati regionali, i cui poteri di garanzia e di controllo sarebbero indeboliti.
Il Parlamento è subordinato fin dal momento della sua elezione e esposto allo scioglimento se non vota la fiducia o approva una mozione di sfiducia. L’unica previsione relativa al Parlamento non riguarda il rafforzamento dei suoi poteri, tramite la delimitazione della decretazione d’urgenza e della questione di fiducia, al fine di farlo uscire dallo stato di subordinazione nei confronti del Governo che di fatto si è impadronito del potere legislativo, ma l’abrogazione della nomina dei senatori a vita “che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59, c. 2. Cost.) e quindi di una prerogtiva personale del Presidente della Repubblica.
Infine verrebbero a essere colpite le autorità di garanzia: il Presidente della Repubblica potrebbe essere eletto a maggioranza assoluta a partire dal sesto scrutinio, ma non qualificata; quindi un Capo dello Stato imposto dalla maggioranza deciderebbe la nomina di cinque giudici costituzionali e un terzo dei componenti elettivi (non magistrati) del Consiglio superiore della magistratura.
Anomalie del sistema dalle gravi conseguenze
Vi sono poi disposizioni anomale, introdotte per compiacere la Lega. La prima richiede un voto di fiducia inziale delle Camere sul Governo formato dal Presidente del Consiglio eletto, che è addirittura ripetibile, dando la possibilità a un alleato di governo di esprimere la sua insoddisfazione nel primo voto di fiducia. Viene poi prevista la sostituzione del Premier eletto dal popolo “per una sola volta nella legislatura”, che è possibile solo se il Presidente del Consiglio che si è dimesso volontariamente non ha chiesto lo scioglimento del Parlamento, oltre che nei casi di morte, impedimento permanente e decadenza. In queste ipotesi il Presidente della Repubblica può dare l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con lui, scelta che è obbligata in caso di morte, impedimento permanente o decadenza. Tale norma può essere interpretata in due modi nell’ipotesi in cui il sostituto venga meno: o nel senso del necessario ricorso a nuove elezioni, il che paradossalmente lo renderebbe più forte del Premier eletto dal popolo, oppure come riconoscimento del potere del Capo dello Stato di nominare un altro parlamentare o anche un tecnico. Nulla inoltre imporrebbe al Presidente del Consiglio riconfermato o al suo sostituto di mutare la composizione della maggioranza parlamentare.
In definitiva il Premierato elettivo produrrebbe un accentramento del potere nell’esecutivo e nel suo capo e l’indebolimento del Parlamento e dei poteri di controllo e di garanzia, senza peraltro essere in grado di assicurare né la formazione di governi stabili e efficienti a causa delle divisioni interne alla coalizione di maggioranza, né l’aumento della partecipazione, mortificata dalla limitazione della libertà del voto e dalla lesione della rappresentatività del Parlamento con istituti artificiali.
Il 14 maggio nel suo intervento al Senato sul progetto di Premierato, la senatrice a vita Liliana Segre ha sottolineato gli effetti nefasti che la sua adozione avrebbe, in quanto provocherebbe un “drastico declassamento” a danno del Presidente della Repubblica e stabilirebbe “il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento”. Infine ha concluso con parole nette: «Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo”. Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate». In definitiva verrebbe messa in discussione la democrazia costituzionale, che concepisce la Costituzione come limite del potere, garanzia del pluralismo sociale e politico, valorizzazione del ruolo svolto dal Parlamento e dai partiti e della costante partecipazione popolare.