Non morire prima di morire
Non morire prima di morire
Io grido a te, o SIGNORE;
Rocca mia, non essere sordo
alla mia voce,
perché, se non mi rispondi,
io sarò simile a quelli che scendono
nella tomba…
Non trascinarmi via con gli empi e
con i malfattori
i quali parlano di pace con il
prossimo, ma hanno la
malizia nel cuore.
(Salmo 28)
Angelo: «Non morire prima di morire», ha scritto il poeta. E la Bibbia, fin dall’inizio, da quando il Creatore avverte Adamo ed Eva che, se mangeranno dell’albero della conoscenza del bene e del male, «certamente moriranno», cosa che non sembra succedere, racconta di una morte che non coincide col decesso. Una morte che si sperimenta in vita, che si può scegliere mentre si continua ad esistere. Penso che ognuno di noi abbia sperimentato questa situazione paradossale di «morti viventi». Insieme alla domanda su quante nascite siano necessarie per far sbocciare la vita, risuona quella di segno opposto, su quante morti precedano il congedo definitivo. Il salmista ne evoca una: «se non mi rispondi, io sarò simile a quelli che scendono nella tomba». Se Dio tace, se il credente sperimenta quell’esilio della Parola che decreta la sua solitudine, allora non è più vita: prende la parola la morte.
Lidia: Però, a differenza di una certa tradizione che patisce il silenzio di Dio nel vuoto dell’anima, mentre affronta la notte oscura dell’abbandono di una «vera presenza», precedentemente sperimentata, qui il silenzio emerge dal liquido di contrasto di una storia in cui risuonano le voci degli empi, di quei malfattori che usano parole accattivanti – «parlano di pace»; parole che sorgono da un cuore falso e che producono azioni malvagie. Perché, nella storia, si impone la parola di costoro? Perché, nel coro delle voci, non si sente quella di Dio? Colui che ha sognato un mondo giusto e buono non risponde alle voci beffarde di chi proclama un mondo a disposizione dei più forti? L’orante si sente morire perché patisce una storia ingiusta, di morte.
Angelo: In una storia ingiusta, si è come «morti viventi». Per noi, anche questa consapevolezza sembra morta! Noi abbiamo scelto di tapparci le orecchie per non sentire le voci del mondo. L’unica voce a cui prestiamo attenzione è la nostra, che continuamente sussurra al nostro cuore l’imperativo categorico del «si salvi chi può». Abbiamo fatto pace con il silenzio di Dio perché abbiamo perso il mondo. La nostra interiorità si nutre del chiacchiericcio di sottofondo, da cui emerge qualche grido di eccitazione per una qualche novità. Il grido del salmista, invece, perfora i cieli. Sarà pure come un morto, ma il suo sangue, come quello di Abele, continua a gridare dalla terra insanguinata.
Lidia: E se gridi, prima o poi qualcuno ti risponde. Non è questo un filo rosso di tutte le Scritture? Persino il grido senza destinatario degli schiavi ebrei in Egitto giunge a Dio, che lo fa suo e decide di intervenire in loro favore. Anche questo salmo evoca un grido che ottiene risposta. Come sarà avvenuto? Noi che leggiamo questa narrazione biblica ci interroghiamo, per forza di cose, sulle concrete modalità della risposta divina, sperimentato come «forza e scudo», che «soccorre» e «salva». È solo un linguaggio mitico, magico? O il suono di una voce differente ha veramente fatto irruzione nella storia che semina morte? Come è riemerso dalla fossa della disperazione il nostro orante, come è riuscito a non morire prima di morire?
Angelo: Noi possiamo solo scorgere le cicatrici delle ferite rimarginate; come questo sia avvenuto, come la morte sia stata vinta, i Salmi non ce lo dicono. Il Salterio non è un manuale di tecniche religiose per essere vincenti, alla stregua degli attuali bestseller che, con tono oracolare, dettano le mosse esatte da compiere per giungere al successo. Come se la vita fosse una questione di strategie da apprendere e svolgere! Come se il problema fosse «funzionare»! Anche questo è indice di uno sguardo miope, che perde il mondo e la pluralità dei modi di abitarlo.
Lidia: Per non banalizzare la nostra legittima domanda sul come si possa far esperienza di Dio nella storia umana, sulle modalità del suo parlare, dovremo, forse, custodire questa interrogazione ancora a lungo, mentre ci inoltriamo nel mondo orante dei Salmi. E lasciare che il loro linguaggio evocativo, che rifugge le «istruzioni per l’uso», risuoni nelle nostre storie singolari e faccia da lievito per una pasta già troppo indurita nelle evidenze incapaci di eccedenze. E mentre cerchiamo di capire, proviamo a lasciarci abitare dal sospetto che non è tutto qui, nel groviglio della storia; che in mezzo alle voci gridate che si impongono fa la sua comparsa un’altra voce, che parla fuori dal coro e racconta un’altra storia, quella custodita nel cuore di Dio.