La remissione dei versi pacati

Extracanone

Mirea Borgia
Ismi
Il Convivio editore, 2024, pp.46
€10,00

Potrei sbagliarmi, e se mi sbagliassi crollerebbe miseramente tutta l’impalcatura retorica della mia recensione.

Potrei sbagliarmi, ma penso che “Ismi” di Mirea Borgia sia una sfida al linguaggio poetico e non solo, e che questa sfida abbia lo scopo di recuperare, nel “bla bla bla” generale, una comunicatività della parola, una sua purezza, pur non originaria (perché ogni purezza è conquistata dalla lingua e nella lingua e in ogni purezza non c’è nulla di naturale ma tutto è fortunatamente costruito e artificiale). 

Insomma, una sfida al modo in cui il linguaggio confeziona rassicurazioni e certezze, e simula una consistenza che la vita, nel suo fluire, non ha: il linguaggio come costruzione dell’essere in alternativa al divenire. Ecco gli Ismi. 

Dentro e grazie a ogni ismo la realtà, caotica e complessa, prende una forma abbastanza stabile, il che, entro certi limiti, è un bene, se non si vuole soccombere al disordine, ma è anche un male perché, come ribadisce Giuseppe Manitta nella Prefazione, la scrittura si risolve in tal modo in “una coazione a ripetere di forme e contenuti”, cioè nella maniera.

Ebbene, qui siamo fuori dalla maniera, prendiamo atto di “ciò che resta della forma”, quando cominciamo a dissolverla col gioco linguistico (acciderbolezza, perdinci, perdindiridina, miao, sigh), ci congediamo dal discorso “trito e ritrito”, facciamo esperienza della salvezza “in un cambio di prospettiva”, proviamo a liberarci dalla tirannia di assiomi e argomentazioni.

Per trovare cosa, dopo quest’opera di decostruzione?

“Dobbiamo capire/scegliere fra il segno languido/ e lo scorcio sulla tela/ affinare i sentieri già percorsi/ o illustrare rocce artificiali”, scrive l’autrice. 

E allora, se la mia impalcatura retorica regge, resta solo da dire che qui inizia un’altra avventura-apertura del senso ma alla maniera di un Raymond Queneau o di un Georges Perec: portare la lingua al suo limite (abbassarla al gergo o sollevarla vertiginosamente fa lo stesso purché di limite si tratti), stando attenti a non uscirne, con esiti sorprendenti e singolari come nella pagina finale dove la remissione dei vostri peccati del nostro Padre nostro diventa la “remissione dei versi pacati”.

La poesia può essere una colpa, se è la ripetizione di una litania, ma è una benedizione, se inventa, oltre gli ismi, un nuovo modo di dire, di chiedere e di desiderare.