Siamo in ritardo

Siamo in ritardo. Ritardo colpevole. Perché non c’è dubbio che in circolazione non si percepisce nemmeno un briciolo dell’entusiasmo europeista di quando era vivo Altiero Spinelli, il vecchio antifascista che ha consegnato – non solo al nostro paese – una lezione ancora orientata al futuro: peccato che i giovani non lo sappiano.

Nel 1941 faceva caldo, c’era la guerra, ma la gente non pensava ancora ai bombardamenti ed era andata in villeggiatura. A Ventotene, dove il regime chiamava “villeggiatura” il confino, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni pubblicavano (nel senso che le mogli in visita ai reclusi l’avrebbero portato fuori per la diffusione clandestina) un loro Manifesto per un’Europa libera e unita.

Sono passati più di ottant’anni, fa già caldo, è tornata la guerra, le destre trovano larghi consensi in elettorati che vanno sempre meno a votare e in Italia sono al governo gli eredi del regime che mandò a Ventotene i patrioti democratici. La depressione fa il suo effetto: anche quelli che non sono di destra e ci tengono a dichiararsi antifascisti hanno smesso di alzare la voce a sostegno dei propri pericolanti diritti, distratti da leader alle prese – manca poco al 9 giugno – soprattutto con la lista delle candidature europee, ma anche – si votano nello stesso giorno – amministrative in Piemonte e in moltissimi Comuni.

Il cittadino si sente un po’ abbandonato, ma dovrà arrangiarsi per capire almeno perché è tanto rilevante questo appuntamento: la congiuntura economico-finanziaria è ancora positiva, ma i decreti incompiuti del governo, le discutibili realizzazioni del Pnrr e l’incertezza della politica finanziaria mondiale non garantiscono certezze. Gli italiani intanto vedono crescere le disuguaglianze, subiscono tagli micidiali alla sanità ormai privatizzata, assistono a misure di riarmo impensabili solo due anni fa e la guerra sta già presentando il conto: non bisogna solo farsene la ragione.

Rileggere il manifesto di Ventotene

La resistenza infatti non si fa quando ci si trova a Ventotene, ma quando c’è tempo per non andarci. Opportuna dunque una lettura del Manifesto di Spinelli, che, da parlamentare europeo, continuò fino alla morte a battersi nel lento evolversi dell’Unione, sconfitta dietro sconfitta, delusione dopo delusione. Serve per rinfrescare le idee sui principi, i diritti e i doveri, ma anche per imparare a “fare politica” da un punto di vista comunitario e per riconoscersi, davvero, cittadini non solo italiani, ma europei, in attesa di diventare – se prevarrà la pace – cittadini del mondo.

Tanto più che l’aria non tira a favore della sinistra che da troppo tempo ci siamo abituati a veder scendere, gradino dopo gradino, la scala degli antichi principi senza che nessuno formuli un qualunque progetto innovatore. Colpa di Craxi? Diciamo pure di sì: gli sono state attribuite tutte le colpe, tranne quelle conservate per Renzi. Sta però di fatto che a Bari e Torino sono successi scandali che evocano la buon’anima, che, oggi, può apparire perfino così ingenua da avere spudoratamente sostenuto che si può “rubare” (scandalo della parola: il vecchio malgoverno diceva “assistenzialismo”, “carrozzoni”, “benefici di legge”, ma c’entravano sempre i voti del popolo sovrano) per il partito. Eppure c’erano davvero altre aspettative. Berlinguer aveva osato denunciare la trasformazione del sistema in una partitocrazia – nelle Asl, nelle consociate, nelle amministrazioni periferiche – ricevendone discredito da parte dei suoi compagni, destinati a proseguire fino all’intervento in primo tempo misterioso di Emiliano a Bari. Esistono pratiche clientelari e spartitorie nelle amministrazioni che sembra non scandalizzino più nessuno, almeno di quel che resta dopo la scomparsa delle forma-partito (quella autentica che diceva chi era e che cosa voleva) nel mare magnum dell’antipolitica populista.

L’unica formazione politica che osi chiamarsi partito, il PD, ha la grande responsabilità di dover far intendere da che parte sta: appena arrivata a Roma la voce di quel che succedeva a Bari, bisognava piombare a falco sulla federazione locale e fare piazza pulita senza aspettare le “doverose dimissioni”. Anche il paese deve comportarsi come dio comanda: se in Italia governano i nipoti di chi mandava al confino Spinelli, la responsabilità è di tutti, votino o vadano al mare. Di questi tempi dirsi di sinistra fa un po’ pena: viene in mente la “scissione di Livorno” che condizionò (alle elezioni del ‘24) la forza che il partito socialista aveva ottenuto nelle elezioni del 1919 e aiutò il fascismo. Il pensiero va alla costanza con cui la sinistra ha poi perseguito la frammentazione, incapace di unità progettuale tra divisioni tendenzialmente suicide. La regola elettorale europea è proporzionale e limita al 4%: è possibile recuperare unità senza compravendite o umiliazioni almeno quando si ha l’acqua alla gola ed è più che chiaro che non si deve “aiutare Giorgia Meloni” che disgraziatamente gioca bene la sua parte? I “campi larghi” sono stretti se abitati da gente avventurosa alla ricerca del terzo mandato (un mandato queer, una volta sperimentata sia la destra che la sinistra?), senza un progetto serio e impegnativo sostenuto da chi non lo vuole perdere.

Bisogna infatti pensare all’Europa: la responsabilità dell’elettore questa volta è grande, anche perché nessuno sembra rendersi conto che il governo in carica è stato eletto da due terzi degli aventi diritto e il terzo che non è andato a votare non è rappresentato: va inseguito. Se a giugno in Francia vincesse Le Pen e in Italia Meloni, il nuovo Parlamento europeo avrebbe grosse difficoltà ad arginare il Consiglio (dei Capi di Stato e di governo) a maggioranza reazionaria.

Non giova ammainare la speranza

Perdere la speranza non giova: basta chiederlo agli inglesi che, scontenti dell’UE, vorrebbero tornarci dentro di corsa. Se al tempo del covid l’Europa non avesse distribuito i vaccini gratis, le bare si sarebbero moltiplicate. Bisogna dunque fare riferimento agli interessi in gioco e informare il lavoratore in difficoltà che può risolvere i suoi problemi più con l’UE che con il governo patrio. A partire dai problemi della difesa, ovvero della pace e della guerra: il Manifesto di Spinelli prevedeva un esercito europeo che, se non si è formato ai tempi della guerra fredda, sarebbe strano nascesse a causa del possibile abbandono americano del continente europeo qualora venisse eletto Trump. Non c’è nessuna bacchetta magica immediata, mentre è necessario che il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali assumano la responsabilità politica nei confronti della Nato: nel 2022 i paesi europei hanno investito in spese militari 240 mld (gli Usa 877, mentre Putin 117 nei loro diversi contesti) e sono attese altre decisioni al G7 pugliese per incrementare la produzione di armi. Henry Breton, Commissario del Commercio Interno ha già anticipato che l’Europa non ha grandi disponibilità: si cercheranno “tagli” in settori già programmati? O non sarebbe bene rivedere le finalità di una produzione che mantiene alto il tasso di mortalità, di impoverimento, di inquinamento e di spreco?

Gli interessi economici toccano la vita quotidiana: abbiamo la moneta unica in 20 Stati membri, ma manchiamo di una norma fiscale comune – salvifica per comprimere l’evasione italiana – che, già elaborata da Draghi, dovrà essere all’ordine del giorno del prossimo Parlamento.  l’Europa, almeno per l’agroalimentare, è il mercato più grande del mondo, superiore a quello americano e anche il resto della produzione dovrebbe aggiungersi all’espansione: se gli emiliani dovessero produrre il parmigiano solo per grattugiarlo sulle lasagne, finirebbero per non potersi più permettere le lasagne. La questione climatica impone sia la progettazione sia la condivisione delle politiche perché nemmeno i nazionalisti possono più praticare l’autarchia quando si tratta di siccità o inondazioni. La complessità delle innovazioni tecnologiche chiede regole condivise per evitare arbìtri di poteri ancora incontrollabili: a Bologna, centro europeo per la meteorologia, Leonardo è uno dei quattro massimi elaboratori mondiali in grado di svolgere 250mila mld. di operazioni in un minuto: potrà servire a una sanità che personalizzerà l’assistenza per ciascuno dei nostri 60 milioni di individui; ma intanto gli italiani stanno perdendo il diritto a restare in salute e curati se malati.

ll futuro sarà pure inedito, ma incoraggia a pensare il meglio se si vuole che ci sia un futuro. Anche in Europa c’è bisogno di miglior giustizia: la produzione e il lavoro lo esigono, ma anche i diritti umani, la nonviolenza educativa, la lotta alla violenza di genere, le questioni debitorie, le politiche migratorie, tutte politiche all’ordine del giorno nei singoli paesi che chiedono la condivisione dentro una volontà comune dell’intero continente. Lì corre infatti pericolo la democrazia, che in queste elezioni è tutt’uno con l’Europa.