Una lingua di fuoco

Illustrazione di Dianella Fabbri

Io ti amo, o SIGNORE, mia forza!

Il SIGNORE è la mia rocca,

la mia fortezza, il mio liberatore;

il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio,

il mio scudo, il mio potente salvatore,

il mio alto rifugio….

(Salmo 18)

Lidia: ci sono momenti in cui la vita irrompe con particolare intensità. L’incipit del nostro salmo rischia di non essere udito nella sua forza dirompente, a motivo delle nostre orecchie abituate all’abuso di parole forti. Ma se congeliamo per un attimo l’attuale sentire, caratterizzato dalla dissacrante ironia post-moderna, che tutto irride e decostruisce, quel «ti amo» che l’orante dice al suo Signore s’impone come chiave di questa preghiera fluviale, tessuta con parole da capogiro. Si tratta di una dichiarazione unica in tutta la Bibbia. Un linguaggio che compare più sulle labbra di Dio – «tu sei prezioso ai miei occhi… e io ti amo» (Isaia 43,4); «io ti amo di un amore eterno» (Geremia 31,3) – qui erompe dalla bocca dell’orante: e la relazione con Dio trova un nuovo registro.

Angelo: troviamo anche qui lo schema classico che al grido fa seguire la risposta divina: «Nella mia angoscia invocai il SIGNORE, gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio, il mio grido giunse a lui, ai suoi orecchi» (v. 3). Ma, insieme, sorgono parole fuori schema, parole che scuotono la terra e smuovono le fondamenta. Un linguaggio che svela quale sia il luogo della preghiera: quello delle passioni non spente. Oltre gli automatismi devozionali e i ricorsi strumentali alla potenza divina, si fa esperienza della preghiera sul terreno di chi patisce angoscia, sentendosi letteralmente afferrare dai lacci della morte o su quello di un cuore innamorato, in preda all’esaltazione e all’entusiasmo. Non è che nei momenti grigi non ci sia spazio per il pregare. Le Scritture suggeriscono che questo dialogo con Dio vada coltivato incessantemente, in ogni situazione. Ma affinché sia possibile anche nell’ordinario, occorre che almeno una volta in vita si sia scesi alle radici dell’esistenza, ci si sia innamorati o si abbia sentito il morso della disperazione. Come per la poesia, è nell’intensità che prende forma l’esperienza del pregare.

Lidia: e lo sguardo intenso squarcia i cieli e mette a fuoco un Dio inedito. Col naso che sbuffa rabbia, la bocca di fuoco. Un Dio in preda all’ira di Achille e alla furia di Orlando! Anche Lui, nella preghiera, si presenta come soggetto di passioni forti. L’orante ne fa esperienza e nella sua preghiera fa capolino una teologia immaginifica che mette sottosopra l’ortodossia di una trascendenza impassibile. Ecco che nella preghiera il Dio che dimora nell’oscurità si slancia verso la terra, abbassando i cieli e cavalcando sulle nubi. Cosa non fa per raggiungere chi gli dice: «ti amo»! La sua voce irrompe come un tuono, che illumina e brucia. E mentre osserviamo – non senza pudore – l’intimità impetuosa di questa scena amorosa, comprendiamo come sia una banalizzazione ravvisare in questo linguaggio appassionato l’espressione di un pensare mitico, pre-moderno, tipico di un’umanità che non ha una conoscenza scientifica delle cose. Qui troviamo la potenza della parola allo stato puro. Qui scorgiamo il caso serio della relazione con il divino. Relazione intima, personale: «il mio Dio, mia forza, mia rocca, mia fortezza, mio liberatore, mia rupe, mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio» (v. 2). Quando la vita ci spezza e tutto precipita, chi prega trova un solido appiglio nell’intimità con il suo Dio. La caduta violenta nel baratro è fermata proprio da questa esperienza di fiducia. Quando tutto è liquido, tutto intorno è tempesta, Dio è il punto fermo per rialzarsi e vincere sulle potenze oscure, nemiche della vita buona.

Angelo: udiamo qui un canto di vittoria, parole di esaltazione, che non escono come slogan da bocche prestate allo scontro identitario. Qui percepiamo il tono sicuro dell’innamorato. Linguaggio dionisiaco, purificato con il fuoco, per il quale Dio è una vera presenza e la vita umana grida e si esalta, in preda ad un desiderio che rifiuta l’accettazione dello stato di cose esistenti. Torneremo a parlare questa lingua, noi così preoccupati di funzionare e dimentichi della bellezza di esistere? Al fondo di tutto, la preghiera ci sfida sul terreno del cosa ce ne facciamo della vita, con quali parole la diciamo, entro quali orizzonti la sentiamo. Altro che scontata pratica religiosa: ne va di noi stessi!