Versi contro/versi
Princìpi inclusivi o escludenti
Uno dei maggiori rischi quando si fa teologia è assolutizzare intuizioni o esempi che vorrebbero far procedere la riflessione su Dio o sulla Chiesa. Mi pare questo il caso della questione regolarmente riaffiorata negli ultimi cinquanta anni dei princìpi mariano e petrino del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar. È notevole che siano diversi papi a tornare insistentemente su un’immagine che viene tuttavia adattata e semplificata perché sia maggiormente funzionale al quadro che si vuole descrivere o difendere.
Infatti, se il teologo ne Il complesso antiromano, puntava a correggere l’idea che per la chiesa la dimensione istituzionale e gerarchica fosse più centrale della dimensione laicale con la sua missione secolare, la sua riflessione ha subìto una certa torsione nelle varie applicazioni. La chiesa nella sua dimensione più vasta, realtà costituita da tutti i battezzati, sotto la guida dello Spirito, esprime una dimensione sponsale che è illuminata dal “vangelo vivente” visibile nella vita dei santi. Da questa testimonianza vitale sotto il segno dell’amore viene abbracciata la dimensione petrina del ministero che si esprime nella struttura istituzionale. In tal senso, il principio mariano viene descritto come sintesi di tanti altri princìpi individuati come prolungamento di esperienze di fede che troviamo nei vangeli come dei veri e propri archetipi. Vale dunque la pena ricordare che von Balthasar parla anche di “principio paolino”, di “principio giovanneo” spesso associato a quello “mariano”; nomina anche il principio “giacomeo”.
L’obiettivo era far superare l’isolamento e la distanza con cui veniva percepito il papato (associato al principio petrino) e ricondurre l’istituzione alla forma dell’amore, riconosciuta come il compimento della vita del Cristo e dell’identità ecclesiale.
L’interpretazione successiva ha ridotto la pluralità scritturistica ad una relazione binaria petrino-mariana ed ha poi trasformato i due princìpi in caratteristiche di genere. Un principio associato al mondo maschile e l’altro a quello femminile. Il tutto per motivare l’esclusione delle donne concrete dalla reale partecipazione al ministero petrino.
Due è meglio di uno ma peggio del resto
Possiamo sottolineare i rischi della riduzione a due soli princìpi.
«Di fronte al male c’è il bene, di fronte alla morte c’è la vita; così di fronte all’uomo pio c’è il peccatore. Considera perciò tutte le opere dell’Altissimo: a due a due, una di fronte all’altra» (Sir 33,14-15).
In questo esempio del Siracide è presentata una semplificazione che potremmo definire elementare, quasi primitiva: quando si entra nel mondo è importante cominciare a muovere i primi passi nella distinzione fra il bene e il male, prima di entrare nella complessità della realtà con tutte le sue sfumature. Non sfugge a nessuno però che in tal modo le due parti si distinguono proprio fra una caratterizzazione positiva e una negativa: cosa comporti se tale dualità si applica alla coppia uomo-donna è del tutto evidente.
«Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto. L’una conferma i pregi dell’altra: chi si sazierà di contemplare la sua gloria?» (Sir 42,24-25).
In quest’altro passo sembra volersi confermare la necessità dell’alterità come elemento di crescita e scoperta della propria identità. Non sottomissione, ma confronto, scambio e supporto. Si tratta dell’esigenza vitale di uscire dal male della solitudine e dal rischio di assolutizzare le proprie percezioni e idee. Forse a questa necessità si ispirava Gesù nell’invio dei settantadue discepoli nelle città che stava per visitare (cfr. Lc 10,1), situazione in cui d’altra parte non viene detto esplicitamente, ma non si può certo escludere che nel numero degli inviati fossero incluse anche le discepole.
Il bisogno dei “due”, maschio e femmina, quando si parla di generazione e prosecuzione della specie, è attestato fin dal racconto dell’arca di Noè, su cui entrarono «maschio e femmina di ogni carne in cui c’è soffio di vita» (Gen 7,15). Anche in questo caso tuttavia le deduzioni sui ruoli e compiti di uomini e donne in ambito sociale non possono più essere sostenute da qualche generica e/o antiquata osservazione biologica.
Due poli estremi
Il rischio più evidente negli ultimi decenni è quello della polarizzazione in ogni aspetto della vita sociale e politica secondo il detto citato anche in Matteo e Luca: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Mt 12,30; cfr. Lc 11,23). Se in questo caso l’invito è a vigilare sulle azioni divisive e su ciò che opprime l’essere umano e il contesto è quello della liberazione dagli spiriti impuri, non si dovrebbe dimenticare quanto riportato dal primo vangelo, cioè come l’atteggiamento escludente dei discepoli verso chi realizza il bene ma non fa parte della loro stretta cerchia, è corretto da Gesù che afferma «chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40). Se c’è chi concorre a fare il bene perché impedirlo? Questo avviene solo se il monopolio della gestione del bene è più importante del bene stesso. Così avviene nelle opposizioni polari che preferiscono distruggere quanto fatto dall’altro o non ascoltare le istanze o discernere il buono delle proposte pur di mantenere visibilità e rinforzare la propria “tifoseria”, a scapito del bene comune che si potrebbe realizzare e con una sciagurata dispersione di energie.
Approcci multipolari
Per evitare la polarizzazione binaria possiamo cogliere tanti altri elementi intermedi o propriamente “altri”, portatori di significato anch’essi. In tal senso accanto a quelli individuati da von Balthasar potremmo aggiungere un “principio samaritano” che mostra l’approccio della testimonianza data dalla donna di Gv 4 verso i compaesani ma anche dall’uomo della parabola (Lc 10) assurto a icona della misericordia divina. Si potrebbe aggiungere un “principio maddaleno” sulla testimonianza pasquale dopo la fedele sequela. Solo in Maria di Magdala si realizzano infatti tutte le condizioni della testimonianza ricordate in 1Cor 15: presente dalla Galilea fino a Gerusalemme, è testimone della vita e delle parole di Gesù, ma anche della croce, sepoltura e delle apparizioni del Risorto. Non troviamo questa completezza in Maria di Nazareth, né in Pietro, assente da molti momenti della passione.
La complessità della vita sembra dunque meglio rappresentata da una pluralità di principi, mentre chiudere uomini e donne solo nei due poli corrispondenti ricorda più il taoismo che non il Dio trinitario del cristianesimo.